Dal Quartiere Salario-Pinciano un’importante testimonianza della Roma augustea
Al numero 125 di via Salaria, per chi esce da Piazza Fiume poche centinaia di metri, di fronte a Villa Albani, ci si imbatte in luogo insolito. E’ il Monumento dei Lucilii che svetta tra villini e residenze di personaggi che fecero fortuna, tra il 1870 ed il fascismo, con la casa regnante. Lungo il percorso della cosiddetta Salaria nova (così gli archeologi come Rodolfo Lanciani e Thomas Ashby la chiamarono, per distinguerla dalla Salaria Vetus) si apre una spaziosa area verde che proietta su uno scenario antico.
Occorre tener presente che la quota di questo importante tracciato, pensato per il commercio del sale, correva 8 metri più in basso rispetto al piano attuale. Questo perché l’intero Sepolcreto Salario, che si estendeva tra la via Pinciana, la via Salaria e le Mura Aureliane, conobbe in poco tempo due importanti fasi di vita.
D’età repubblicana la prima, caratterizzata da strette stradine con fitti colombari, e dei secoli dell’Impero la seconda. Quest’ultima ebbe inizio sotto l’imperatore Traiano forse come conseguenza dell’asportazione della terra e del tufo di cui era composta la sella che congiungeva Campidoglio e Quirinale.
Eccoci, finalmente, all’illustre sconosciuto! Un grande tumulo marmoreo, che conserva ancora parte della calotta, come quelle che usualmente si osservano alla Banditaccia di Cerveteri. E’ il Monumento dei Lucilii, costruito tra il 7 a.C. e il 10 d.C. da un importante ufficiale dell’esercito e capo dei carpentieri, o del Genio Civile se si vuole: Marco Lucilio Peto.
La sua scoperta risale al maggio 1885, in occasione della costruzione di un muro di cinta nella vigna soprastante, proprietà del cav. Cesare Bertone. Questi intraprese lo sterro del monumento ed i resoconti, frammentari, furono redatti dall’ing. Rodolfo Lanciani nelle Notizie degli scavi di antichità; gli scavi si protrassero fino al 1887, come si evince da un appunto di Giuseppe Gatti.
Il sepolcro si presenta come un cilindro piatto, privo del basamento quadrangolare (assai diffuso a Roma e nell’Italia, come nel Mausoleo di Caecilia Metella sull’Appia), e incarna, nella tipologia del tumulo, una tradizione forte in terra etrusca. Il tamburo prevede una cortina in opera quadratae un anello interno in opera cementizia. Il rivestimento, di travertino, dal basso in alto è caratterizzato da una cornice di base, un bugnato liscio e da una cornice a dentelli.
Verso Est, vale a dire verso di noi, si staglia un pannello epigrafico in marmo di Carrara, impostato sulla cornice di base. Le cronache dell’epoca riferirono che Theodor Mommsen, l’insigne giurista, filologo, storico ed epigrafista (Holstein 1817-Charlottenburg 1903), vista l’iscrizione di M. Lucilio Peto e di Lucilia Polla, sua sorella, si sarebbe inginocchiato ammirando uno dei più fini ed eleganti antenati del Times New Roman. Come noto, questo carattere tipografico si ispira ai canoni paleografici augustei (Foro di Augusto, rifacimento del Tempio del Divo Giulio ecc.).
La storia del monumento, tuttavia, non si esaurisce a questi aspetti. Se infatti si percorre in senso antiorario la circonferenza (prenotando una visita allo 060608) ci si imbatte in un lungo dromos. Un corridoio. Esso aveva la funzione di consentire ai parenti dei defunti di pranzare con loro nelle ricorrenze. Sulla sinistra della cella si può osservare ancora un letto, come quelli di Cerveteri, che qui aveva solo valore simbolico. Olle marmoree ospitavano infatti le ceneri dei Lucilii.
Entrati nella camera ci si aspetterebbe di aver terminato il nostro tour! Non è così. Nel tratto iniziale del corridoio i fossori di una povera comunità del suburbio di Roma, siamo tra l’età di Diocleziano e quella di Costantino, scavarono un ambulacro catacombale. Una galleria ripercorre nelle profondità tutta l’estensione del corridoio, superandolo perfino. Loculi e nicchie per lucerne si alternano sulle pareti.
Sulla destra, ai piedi della scala d’accesso, dal nulla nel 1998 si manifestò l’iscrizione di un umile inumato: un certo Stercorius. Non sapremo mai chi era… L’epigrafe è stata scoperta da chi scrive, nel 1998, mentre al lume di candela e tra i grilli-talpa realizzava – collaborando con il dott. Umberto Crupi – la prima organica campagna di rilievi e fotografie di questo sito archeologico.
Buona visita!
Paolo Montanari