Sono trascorsi 26 anni dall’occupazione di Shusha, centro storico-culturale dell’Azerbaigian, capitale storica del khanato azerbaigiano del Karabakh, tempio della musica e poesia azerbaigiana e culla della scuola di mugam – genere musicale tradizionale azerbaigiano.
L’ultimo attacco delle forze armate dell’Armenia a Shusha è iniziato nella notte tra il 7 e l’8 maggio del 1992. Le forze armate dell’Armenia hanno circondato Shusha con numerose attrezzature militari e soldati. Secondo le fonti armene, nell’attacco sono stati coinvolti fino a 100 veicoli corazzati e carri armati e 11.000 soldati. All’interno delle forze armate dell’Armenia combattevano anche mercenari coinvolti dall’estero. La città fu intensamente presa d’assalto da ogni angolo da razzi, artiglieria, carri armati e altre armi. La città, nonostante avesse lottato fino alla sera dell’8 maggio, è stata occupata dagli invasori armeni.
Al momento dell’occupazione a Shusha vivevano circa 25 mila abitanti – tutti azerbaigiani. Durante la difesa della città 195 civili sono caduti e 165 persone sono state ferite. 114 azerbaigiani, che sono stati presi in ostaggio da parte degli armeni dalla prigione di Shusha, sono stati successivamente assassinati con particolare crudeltà. 58 abitanti della città sono andati dispersi.
Le forze armate dell’Armenia hanno distrutto e saccheggiato molti preziosi monumenti storici e culturali azerbaigiani di Shusha, tra cui la famosa Fortezza di Shusha, oltre 170 edifici residenziali considerati monumenti architettonici, templi e moschee e 279 monumenti religiosi, storici e culturali. Allo stesso tempo sono state distrutte 25 scuole, 31 biblioteche, 20 centri di salute, 17 club, 8 case di cultura, 4 scuole tecniche e 2 filiali dell’Università, 7 asili, 4 cinema, 5 parchi culturali e ricreativi, 2 sanatori, un centro turistico, 2 alberghi, la filiale del Museo Statale del tappeto dell’Azerbaigian, il Teatro Accademico Statale di Shusha, la fabbrica di strumenti musicali orientali, la Galleria Statale di Pittura, la scuola di salute dei bambini. Tra i siti storici distrutti ci sono anche le case di Khurshudbanu Natavan, A.B.Haqverdiyev, G.B.Zakir, M.M. Navvab, S.S. Akhundov, N.B. Vazirov, Y.V. Chamanzaminli, Khan Shushinski, Sadigjan, case musei di Uzeyir Hajibayov e di Bulbul, e molti altri monumenti.
Il leader nazionale dell’Azerbaigian Heydar Aliyev aveva descritto cosi’ il significato storico di Shusha: “Shusha è un angolo dell’Azerbaigian che gode di un enorme significato ed una grande storia. Coloro che crearono Shusha, quelli che costruirono la città di Shusha e quelli che innalzarono la fortezza di Shusha furono i proprietari delle terre dell’Azerbaigian e crearono la città e la fortezza di Shusha, per proteggere e preservare le terre azerbaigiane nel Karabakh. È un grande monumento creato dal popolo azerbaigiano, dai nostri antenati, non è solo una città, ma un grande monumento storico. Non esiste il Karabakh senza Shusha e ancor meno l’Azerbaigian senza il Karabakh”.
Le forze armate dell’Armenia occupano da oltre 25 anni circa il 20% del territorio dell’Azerbaigian, inclusa la regione azerbaigiana del Nagorno-Karabakh e i sette distretti adiacenti azerbaigiani, avendo causato circa 1 milione di rifugiati e profughi interni azerbaigiani. Ciò perdura nonostante numerosi documenti internazionali, tra cui 4 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, abbiano riconosciuto il Nagorno Karabakh come parte integrante dell’Azerbaigian e abbiano richiesto il ritiro immediato, incondizionato e completo delle forze armate dell’Armenia dai territori azerbaigiani occupati.
L’Azerbaigian garantirà la sua integrità territoriale e la sua sovranità all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti e i residenti azerbaigiani di Shusha ritorneranno sicuramente nelle loro città storiche e il mugam “Garabagh shikestesi”, le canzoni popolari azerbaigiane “Garbagda bir denesen” (Unica nel Garabagh), “Shushanin daglary” (I monti di Shusha), risuoneranno nuovamente nel Karabakh, dove torneranno a cantare i nuovi “usignoli del Karabakh”.