Nella splendida cornice della Sala Colonna presso l’Hotel Metropole
di via Principe Amedeo, 3 in ROMA, si è svolto il 61° Consiglio
Nazionale del CoAS Medici Dirigenti.
In un momento assolutamente particolare per la Sanità italiana,
dibattuta tra pubblico e privato, con addebito di sprechi ed
inefficienze, ipotesi di centralismo e regionalismo, collegialità e
dirigismo, il CoAS Medici Dirigenti ha riunito nuovamente i propri quadri nazionali per proporre, dibattere e trovare nuove forme di difesa dei propri Iscritti e di tutti i Medici della dipendenza.
Chiusa la due giorni di confronto sulle vere e proprie emergenze che stanno colpendo i medici dirigenti a cui hanno partecipato 24 delegati regionali in rappresentanza di tutti medici ospedalieri iscritti al sindacato e provenienti da ogni parte d’Italia.
“Negli ultimi anni sono almeno 11.000 i posti di lavoro medico persi negli ospedali italiani, con carenze avvertite soprattutto nelle strutture più disagiate ed in particolare per le specialità dell’emergenza: gli anestesisti sono carenti per 3800 unità e gli Specialisti in Ortopedia, Chirurgia e Ginecologia sono scoperti per circa 6000 posti. Tutto questo, insieme a liste d’attesa infinite, obbliga chi ha bisogno di cure a rivolgersi a strutture private, generando una spesa documentata di 35 miliardi di euro, pari al 25% della spesa globale degli italiani per curarsi”.
E’ quanto hanno hanno spiegato congiuntamente Lucia Magni e Alessandro Garau, rispettivamente presidente e segretario nazionale del CoAS Medici Dirigenti ROMA a conclusione del 61° Consiglio Nazionale.
“Un’altra emergenza – hanno aggiunto i vertici del COAS Medici – la vera e propria emergenza nata dal blocco delle assunzioni che ha causato sia il mancato turn-over, sia la drastica riduzione, almeno del 10 %, del numero di medici ospedalieri e dei servizi su tutto il territorio italiano. A questo occorre aggiungere che dal 2010 la progressione economica si è arrestata a causa del mancato recupero delle RIA (Retribuzione Individuale di Anzianità), della ridottissima distribuzione degli incarichi e l’utilizzo parziale dei fondi aziendali, tanto che per il periodo compreso tra il 2016 e il 2018 l’aumento del monte salari complessivo non raggiungerà il 3%”.
“I soldi risparmiati – hanno concluso Magni e Garau – non sono stati reinvestiti e questo ha comportato l’accorpamento di reparti, la mancata manutenzione e il rinnovo delle strutture. La carenza di posti letto e i disagi lavorativi derivano direttamente da queste mancanze e generano a loro volta ulteriori difficoltà, come la poca sicurezza sul luogo di lavoro e i troppi casi di aggressioni verso medici, del personale infermieristico dei Pronto Soccorso e di tutti i servizi dell’urgenza”.