«Alberto Sordi segreto», il primo libro sulla vita privata del grande attore scritto dal cugino Igor Righetti., uscirà il 30 marzo, in attesa che le librerie riaprano, sul sito dell’editore Rubbettino con uno sconto del 15% e con le copie autografate dall’autore nonché in versione eBook in tutti gli eBookstore online, Chi era fuori dal set, dalle interviste e dalle apparizioni televisive ufficiali?
«Alberto voleva destinare la sua villa a orfanotrofio»
«In questa casa – disse Sordi – non c’è mai stato il sorriso di un bambino»
È una delle tante rivelazioni contenute nel volume pubblicato in occasione del centenario della nascita del grande attore e atteso da tempo dai suoi milioni di fan, che svela amori nascosti, manie, rimpianti e maldicenze. All’interno decine di foto inedite e la prima canzone a lui dedicata
«A quei familiari che gli erano più vicini, così come alla sua segretaria storica Annunziata Sgreccia, alla contessa Patrizia de Blanck con la quale ebbe una love story nei primi anni Settanta, al medico di fiducia della famiglia dal 1992 al 2011 nonché grande amico Rodolfo Porzio, Alberto ha sempre detto di voler destinare la sua villa faraonica a orfanotrofio. E Aurelia, l’ultima delle sorelle morta nel 2014 a 97 anni, voleva rispettare il desiderio del fratello».
È una delle tante rivelazioni contenute nel primo libro sulla vita privata dell’attore «Alberto Sordi segreto», che uscirà il 30 marzo pubblicato da Rubbettino e scritto da chi Sordi lo ha conosciuto bene e frequentato in tante situazioni familiari e non sul set, per motivi professionali o per interviste ufficiali, ma in quanto cugino: Igor Righetti, parente da parte della madre dell’attore Maria Righetti, giornalista professionista e docente universitario di Comunicazione, autore e conduttore del fortunato programma quotidiano “Il ComuniCattivo” andato in onda per 12 anni consecutivi su Rai Radio 1 con versioni televisive su Rai2 e all’interno del Tg1 libri su Rai1.
La paura del virus non spegne le passioni, specie quella dei milioni di fan di Alberto Sordi per il loro beniamino. Si sente la nostalgia di Alberto in un momento così difficile per l’Italia, si sente la mancanza di una figura come la sua che ci avrebbe aiutato a sorridere, senza banalizzare la paura e l’ansia che il Paese sta vivendo. Sarà forse questo il motivo per cui l’annuncio sui media dell’imminente uscita del libro di Igor Righetti «Alberto Sordi segreto» (248 pagine, 15 euro) ha destato così tanto entusiasmo testimoniato attraverso i social e i canali della casa editrice. Le misure di prevenzione hanno impedito però all’editore di lanciare il libro in libreria il prossimo 9 aprile, come da programma. Rubbettino ha tuttavia messo in atto un “piano B” per non deludere le aspettative dei tanti fan dell’Alberto nazionale. Dal 30 marzo il libro con il cd della canzone dedicata ad Alberto Sordi sarà disponibile sul sito dell’editore www.rubbettinoeditore.it (il link diretto dove è già acquistabile è www.store.rubbettinoeditore.it/home/alberto-sordi-segreto.html) con il 15% di sconto e possibilità di acquisto sia in contrassegno sia con carta di credito, PayPal o Amazon Pay. In esclusiva per questa uscita, le copie in vendita sul sito saranno tutte autografate dall’autore. Sarà anche disponibile in tutti i bookstore online a 8,99 euro l’ebook con l’autografo di Igor Righetti: il primo libro digitale autografato mai realizzato finora. Non appena la situazione lo permetterà, il volume con il cd del brano sarà disponibile in tutte le librerie e i bookstore online.
UN ESTRATTO DEL BRANO È DISPONIBILE A QUESTO INDIRIZZO: https://youtu.be/Dv927TWHJro
«Il professor Porzio, che operò Alberto più volte negli anni – scrive Igor Righetti nel volume – ribadì le volontà di mio cugino anche durante un’udienza del processo penale che si svolse a Roma sul presunto raggiro da 2,3 milioni di euro ai danni della sorella Aurelia». Nel 2019, in primo grado, l’autista, il notaio, gli avvocati e i domestici sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Un processo che aveva visto imputate nove persone accusate a vario titolo di circonvenzione di incapace e ricettazione. Il pubblico ministero Albamonte ha appellato la sentenza di primo grado. La magistratura, quindi va avanti.
«Se fosse vero quanto ha dichiarato il professor Porzio sotto giuramento in merito alla volontà di Alberto di voler destinare la sua villa a orfanotrofio – afferma Igor Righetti – dovremmo pensare che Aurelia abbia disatteso le priorità del fratello, ma questo noi familiari rifiutiamo di crederlo. Chi conosceva veramente Alberto sa che frequentava gli orfanotrofi e che aveva adottato a distanza decine di bambini, filantropia sempre fatta in silenzio, come era il suo stile. Alberto spiegò anche il perché di quella sua decisone: ‘In quella casa – disse – non c’è mai stato il sorriso di un bambino’. Dopo aver costituito la Fondazione per gli anziani e quella per i giovani artisti con poche possibilità economiche, l’apertura dell’orfanotrofio sarebbe stato il compimento della grande generosità umana che lo ha sempre caratterizzato. Un museo dedicato a lui, in effetti, sarebbe stato lontano dal suo modo di essere, estremamente riservato. La sua villa l’aveva sempre protetta da sguardi indiscreti con estrema fermezza e mai avrebbe voluto che fosse mostrata al pubblico. L’avrebbe sentita come una violazione della sua intimità. Dall’altro canto si capisce la morbosità della gente che nulla aveva mai saputo o visto della vita privata di Alberto. Curiosare nelle stanze in cui dormiva, nel suo bagno, nella barberia o vedere il suo guardaroba per alcuni può avere un fascino particolare».
Sulla villa trasformata in museo interviene anche Patrizia de Blanck: «Secondo me adesso Alberto si starà rivoltando nella tomba. Lui detestava le autocelebrazioni e mai avrebbe voluto orde di curiosi nelle sue stanze. Più volte mi confidò di volerla lasciare a un istituto religioso che accoglieva bambini privi di famiglia. Questo era Alberto Sordi che ho conosciuto io. Tra l’altro questa Fondazione Museo non l’ha neppure creata lui, so che è nata diversi anni dopo la sua morte».
Il volume presenta, per la prima volta, anche le testimonianze di alcuni cugini di Alberto: da parte della madre Maria Righetti e del padre Pietro Sordi. Hanno voluto condividere i loro ricordi Renato Ferrante, Alberto Isopi, Carlo Filippo Livignani, Roberto Righetti, Gianfranco Sordi, Mirella Sordi e Rosa Sordi. Ci sono, inoltre, i ricordi inediti di alcuni suoi amici che lo hanno frequentato in modo assiduo e di personaggi del cinema e della tv con i quali ha lavorato: Tiziana Appetito, l’attrice Piera Arico che ha recitato in diversi film con Alberto (moglie di Gastone Bettanini, suo grande amico e primo segretario-agente fino al 1965) e la figlia Fiona Bettanini, Rino Barillari, Pippo Baudo, Alessandro Canestrelli, Elena de Curtis (nipote di Totò), Sandra Milo, Sabrina Sammarini (figlia di Anna Longhi) e l’ex annunciatrice Rai Rosanna Vaudetti.
Non manca l’intervista di Igor Righetti a Patrizia de Blanck ricca di aneddoti divertenti. Di grande interesse le due interviste inedite ad Alberto realizzate dal giornalista Luca Colantoni (1995) e dalla regista e produttrice cinematografica Donatella Baglivo (1997). Infine, lo storico del doppiaggio italiano Gerardo Di Cola analizza i doppiaggi degli attori ai quali Sordi ha dato la voce e i film in cui lui stesso è stato doppiato. Personaggi che, assieme a Igor Righetti, hanno contribuito a rendere pubblica la vita reale, e mai raccontata, di Alberto Sordi.
«Alberto Sordi segreto», la cui prefazione è di Gianni Canova, rettore e professore di Storia del Cinema e filmologia all’Università IULM di Milano, è un libro che i milioni di fan di Alberto Sordi attendevano da tempo per conoscere, finalmente, il lato privato del loro mito e avere le risposte alle tante domande che si sono sempre posti. Del resto, chi meglio di un familiare che ha frequentato Alberto Sordi assieme alle rispettive famiglie può conoscere veramente fatti e antefatti? Di Alberto Sordi si sa soltanto che fosse riservatissimo. Con il pubblico, a cui era molto legato e riconoscente, e con i suoi collaboratori ha condiviso la sua vita professionale, ma mai quella privata.
Il libro esce in occasione del centenario della sua nascita e farà scoprire, per la prima volta, chi fosse il grande attore fuori dal set, dalle interviste e dalle apparizioni televisive ufficiali. Rivela, inoltre, le tante menzogne raccontate su di lui. Un volume unico sia per gli aneddoti e le curiosità sia per le decine di foto esclusive provenienti dagli album di famiglia di Igor Righetti e da Reporters Associati & Archivi. Immagini fuori dal set, durante le pause di lavorazione dei film e scatti personali mai visti.
Alberto Sordi non amava l’ostentazione e la sua vita privata era blindata. A quei parenti che ha frequentato di più ha sempre fatto una raccomandazione: «I vostri ricordi con me e con i nostri cari – rivela Igor Righetti – raccontateli soltanto quando sarò in ‘orizzontale’. Allora mi farete felice perché sarà anche un modo per non farmi dimenticare dal mio pubblico che ho amato come fosse la mia famiglia e per farmi conoscere alle nuove generazioni».
Spiega l’autore: «Così abbiamo fatto. Io l’ho ricordato spesso nei miei articoli sui vari giornali con cui collaboro e su quelli che dirigo come ‘Mese per Mese’ e il quotidiano ‘Mesepermese.it’ nonché nei miei programmi radiotelevisivi sulle reti Rai. Ho aspettato, però, il centenario della sua nascita per celebrarlo con questo libro lontano dai luoghi comuni, dalle tante inesattezze e invenzioni dette finora da chi afferma di essere stato grande amico e confidente di Alberto, dal pressappochismo becero e dalle numerose falsità raccontate da chi ha bisogno di trarne vantaggi esclusivi. Da quando è morto sembrano diventati tutti suoi amici. Ma era davvero così? Un volume che farà scoprire a tutti coloro che hanno amato e che amano tuttora Alberto, le sue abitudini, la sua umanità verso i più bisognosi, il suo modo di affrontare la vita, il suo rapporto con la famiglia, la spiritualità, i giovani, l’amore per Roma e per l’Italia, il suo rapporto con le donne, il suo pensiero sulla politica e sui politici. Perché Alberto è entrato nel cuore di tutti e, probabilmente, è stato ed è tuttora l’attore italiano più amato».
Il libro viene arricchito con il cd della prima canzone dedicata a Sordi “Alberto nostro”, della quale Igor Righetti è autore, compositore e interprete assieme a Samuele Socci. Il brano con il testo si trova sul canale YouTube Alberto Sordi Forever al quale ci si può già iscrivere. Il videoclip della canzone, invece, sarà disponibile dalla fine di maggio sempre sullo stesso canale YouTube. È stato girato a Trastevere e nelle vie del centro storico di Roma care ad Alberto. Una canzone nata per integrare a livello musicale questo primo volume sulla vita privata di Alberto Sordi e per colmare il vuoto di un brano a lui dedicato. Un piacevole libro utile anche alle nuove generazioni perché la memoria storica di un grande attore come Sordi non vada perduta e, al contrario, rigeneri.
Scrive Gianni Canova nella prefazione: «Il libro di Igor Righetti ha il pregio di aiutarci a riscoprire l’attore dietro i personaggi che ha interpretato e l’uomo dietro l’attore che ha dato vita a quei personaggi. Ha il pregio di sfatare luoghi comuni. Di aprire l’album di famiglia e di svelare un Sordi inatteso. Nei suoi rapporti con il padre, con la famiglia, con le donne, con il denaro. Igor Righetti, che ha con Sordi un legame di parentela diretto, ci aiuta a entrare nelle pieghe e nei segreti della sua vita. Ma senza voyeurismo, senza pettegolezzi, senza scandalismi. Mosso da una volontà di comprensione e di narrazione che aiuta tutti noi a capire meglio come e perché abbiamo tanto amato quest’uomo di spettacolo, e l’abbiamo sentito vicino a noi anche quando non ci siamo identificati con i personaggi a cui ha dato vita».
Alcuni estratti delle rivelazioni e degli aneddoti contenuti nel libro
Perché i genitori lo chiamarono Alberto
Pietro Sordi e Maria Righetti si sposarono il 10 luglio 1910. Il loro terzogenito morì pochi giorni dopo il parto, il 24 maggio del 1916. Si chiamava Alberto. Maria non superò mai quel lutto: soltanto con la preghiera riusciva a lenire il grande dolore. Quasi nessuno, se non i parenti che furono vicini alla coppia in quel momento drammatico, conosce questo particolare. Pietro e Maria preferirono tenere questo dolore dentro di loro. Anche Alberto ne parlò soltanto una volta con mio padre, ma cambiò subito argomento. Lui sapeva che il suo nome gli fu dato proprio in ricordo del fratello scomparso. E anche per questo motivo non voleva essere chiamato Albertone.
I suoi vestiti comprati dalla sorella Aurelia
Il suo modo di vestire è sempre stato molto classico: giacche, completi, trench beige, grigi e marroni, nessuna concessione verso i colori accesi. Ci teneva a essere sempre elegante, ma era troppo indolente per acquistare i vestiti. Glieli comprava la sorella Aurelia che conosceva bene i suoi gusti. E poi lo shopping necessita di tempo che avrebbe dovuto sottrarre al suo lavoro.
I suoi cibi preferiti e quelli non graditi
Alberto era rimasto semplice anche nel mangiare: alle ostriche e allo champagne preferiva la bruschetta e un bicchiere di vino. E in estate non si faceva mai mancare l’anguria. Alla quantità preferiva la qualità. Cucina romana e italiana senza concessioni per quella etnica. A pranzo, nella sua casa, mangiava di solito un piatto unico: spaghetti al pomodoro con le polpette che lui adorava. Alla pasta non sapeva rinunciare: dagli spaghetti alle fettuccine, dai bucatini agli gnocchi ma sempre al sugo di pomodoro, mai in bianco. Al bando piatti pasticciati, panna e besciamella. Gli piaceva molto il pesce (ma guai a non proporglielo già pulito dalle lische) ed era goloso di Nutella che metteva pure nel caffè e latte. Con la minestra di verdure aveva un pessimo rapporto dato che era il piatto che la madre gli faceva spesso da bambino a causa delle ristrettezze economiche. Non mangiava mai i funghi in quanto lo terrorizzavano: li riteneva tutti velenosi.
Il nonno fornaio a Valmontone
La mamma Maria Righetti era nata a Sgurgola, in provincia di Frosinone, mentre il papà Pietro a Valmontone, in provincia di Roma, dove il nonno faceva il fornaio. In omaggio al padre, in due suoi film citò il nome della cittadina: ne “Il marchese del Grillo” e ne “Il tassinaro”.
Perché non ha mai voluto interpretare politici
Alberto ha interpretato tanti personaggi, ma mai i politici in quanto, diceva, che recitavano già loro e che sarebbe stata una sovrapposizione inutile. Con la sua ironia sottolineava che qualche parlamentare avrebbe meritato l’Oscar per la credibilità delle loro interpretazioni. Negli anni Cinquanta, la Democrazia cristiana gli chiese di fare il sindaco di Roma. Pur cattolico declinò l’invito. Altre proposte di entrare in politica le ricevette un po’ da tutti i partiti. Affermava che nell’Italia politica degli ultimi anni ci fosse tanta mediocrità.
Alberto su Berlusconi: “Chi gliel’ha fatto fare di entrare in politica?”
Nel libro c’è anche l’intervista inedita che Donatella Baglivo, regista, montatrice e produttrice cinematografica, amica di Alberto, fece a Sordi nel 1997. Una lunga intervista che ha inserito nel film da lei scritto e diretto “Caro papà, sarò un grande attore”. Il film, ancora inedito, fa parte della serie “I Grandi del cinema italiano” ideata e diretta da Donatella Baglivo. La regista chiese ad Alberto: “Che cosa mi puoi dire di Berlusconi?”. E Sordi rispose: “Io non capisco come mai Berlusconi è entrato in politica, non gli mancava nulla, era già un uomo di potere, chi gliel’ha fatto fare?”.
Nel suo amato cinema-teatro tolti i divani di velluto voluti da Alberto e sostituiti con sedie di plastica
A proposito della sala cinematografica-teatro dove Alberto vedeva i film con, al suo interno, un vero e proprio palcoscenico, il soffitto ricoperto totalmente con bassorilievi a forma di pellicola e ai lati alcune sculture di Ceroli rappresentanti l’allegoria delle arti, lascia attoniti la recente scelta di aver sostituito i meravigliosi divani di velluto di colori diversi (voluti da Alberto) della platea con file e file di anonime sedie in plastica blu che si possono trovare in un qualunque centro congressi. Sedie che hanno tolto quel fascino voluto e pensato da Alberto con i divani di velluto che rappresentavano lo spirito e l’essenza del suo modo di concepire quello spazio intimo e raccolto a lui tanto caro. Dal 2015, tra l’altro, gli oggetti della villa sono sotto tutela dei Beni culturali. Quando si destina a museo la casa di un personaggio tutto dovrebbe restare come il personaggio ha voluto gli ambienti per evitare di creare un falso agli occhi del pubblico che, per la prima volta, la visita convinto di avere di fronte la versione originale.
Da dove derivano le sue due più celebri esclamazioni
Ha cavalcato a suo favore sia la leggenda dell’avarizia, interpretando anche il film “L’avaro”, sia il fatto di essere rimasto scapolo spiegandone, con la consueta ironia che lo contraddistingueva, i motivi con la celebre frase “E che, me metto un’estranea dentro casa?”. Alberto, però, rielaborò quella frase dell’amico Mario Bonnard, regista di alcuni suoi film come “Mi permette, babbo!” del 1956 e “Gastone” del 1960, con il quale spesso amava giocare a carte. Bonnard disse: “Che faccio? Mi metto un fagottone nel letto? Un’estranea in casa?”. Ad Alberto piacque molto e, con il suo modo unico di esprimere i concetti, la fece sua.
Anche la celeberrima frase pronunciata dal Marchese del Grillo Me dispiace, ma io so’ io… e voi nun siete un cazzo è una citazione dal sonetto “Li soprani der monno vecchio” (I sovrani del mondo antico) di Giuseppe Gioachino Belli (Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo) espressa da Alberto a modo suo.
Sabrina Sammarini, figlia di Anna Longhi: “Sordi aiutò tanto mio fratello Maurizio gravemente malato”
Anna Longhi e Alberto Sordi nacquero entrambi nel rione di Trastevere. Alberto, come ricordava Anna Longhi, le cambiò la vita. Anna, al centro di produzione Safa Palatino, si occupava della pulizia dei camerini, faceva la sarta e la custode degli averi degli artisti. Alberto si fidava di lei e si accorse che sarebbe stata una caratterista perfetta. Le fece fare un provino, anche se lei non era d’accordo, e la scelse tra ottanta donne. E così debuttò al cinema accanto ad Alberto come divertente moglie “buzzicona” nell’episodio “Le vacanze intelligenti” del film “Dove vai in vacanza” del 1978, poi ne “Il tassinaro” (1983) e “Un tassinaro a New York” (1987), tutti diretti da Sordi. Dal matrimonio di Anna Longhi nacquero tre figli: Sabrina, Orietta e Maurizio, morto a 33 anni. Nel 2010, assieme alla figlia Sabrina e alla nipote Ambra, aprì a Ostia Lido l’osteria di cucina tipica romana “Buzzicona”. Anna Longhi morì a Roma nel 2011, a 76 anni. È sepolta al cimitero del Verano di Roma, a poche centinaia di metri dalla tomba di famiglia di Alberto Sordi. Vicini fino alla fine.
La figlia di Anna Longhi, Sabrina Sammarini, ricorda: “Furono le segretarie di produzione a convincere mia madre a fare l’audizione con lui. Le dissero: ‘Tanto che cosa ci perdi?’. Il provino fu uno spasso. Mamma doveva seguire Sordi in un capannone enorme, vuoto, del centro di produzione. Le chiese di essere se stessa, di dire qualunque cosa, pure le parolacce. A un certo punto, guardando il soffitto, lui esclamò: ‘Vedi quanti prosciutti, quanti salami che ci sono?’. E mia madre con estrema franchezza e naturalezza rispose: ‘Per la verità io non vedo un cazzo’. Lui l’aveva osservata tanto, tutti i giorni prima di pensare a lei come sua partner cinematografica. È grazie a lui che abbiamo scoperto il talento di mia madre. Il signor Sordi era un genio”.
Racconta Sabrina Sammarini: “Già a 9 anni stavo sulle ginocchia del signor Sordi. Era una persona buona e generosa. Gli volevamo molto bene e lui lo voleva a noi. Mi propose anche di diventare la sua segretaria e seguirlo. Lo ringraziai tanto per la fiducia ma gli dissi che volevo fare la mamma. La mia vita sarebbe stata stravolta. Chi dice che fosse avaro non lo conosceva affatto o lo invidiava. Il signor Sordi aiutò tanto mio fratello Maurizio, gravemente malato, si informava con i medici dell’ospedale Gemelli sulle sue condizioni di salute, era molto presente ma voleva sempre restare nell’ombra. Sapeva che mia madre aveva speso tutti i suoi guadagni per le cure di Maurizio. Con mia mamma andavamo spesso nella villa a trovarlo. A volte il signor Sordi la chiamava anche soltanto per prendere un caffè o un tè da lui oppure, al mattino, andavano in chiesa insieme. Le volte che sono stata nella villa ho sempre trovato le porte delle stanze chiuse a chiave. Questa cosa mi colpì molto e chiesi al signor Sordi il motivo. Lui mi rispose che non voleva che nessuno curiosasse”.
Il giallo della lettera che Sordi scrisse ad Anna Longhi
“Ricordo che prima di Natale del 2002 – mi ha rivelato la figlia di Anna Longhi – il signor Sordi chiamò mia madre e le chiese di andare da lui. Mamma andò alla villa e ci raccontò di averlo trovato molto dimagrito, quasi irriconoscibile. Rimase talmente impressionata che si sentì male. Lui le mostrò una lettera: le disse che era per lei. Ma mia madre, viste le condizioni del signor Sordi, non ce la fece a prenderla. Lo ringraziò, gli disse che lui aveva già fatto tanto per lei e provò invece a rincuorarlo. La signorina Aurelia, poi, chiamò mia madre per darle questa lettera, ma mamma non andò a prenderla. Dopo la morte del signor Sordi mia madre si sentiva spesso con Aurelia, fino a settembre 2010. Da quel momento i domestici non gliel’hanno più passata al telefono dicendo che Aurelia era fuori casa, non stava bene o stava dormendo. L’ultima volta che la sentì, mia madre mi disse di aver intuito che la signorina non stesse bene, Quella lettera sparì e il suo contenuto è rimasto un mistero. Non sapremo mai che cosa il signor Sordi avesse scritto a mia madre. Mi diceva che quando sognava Alberto Sordi le portava fortuna: la chiamavano per un film o per altri lavori. E lei, allora, giocava la data di nascita di Sordi e prendeva sempre l’ambo e il terno. Il signor Sordi continuava a starle vicino da lassù”.
Il suo rimpianto più grande: non essere stato candidato dall’Italia agli Oscar
Alberto ha interpretato con maestria ruoli drammatici e comici raccontando l’Italia e gli italiani. Nella sua lunga carriera artistica durata oltre sessant’anni e con più di 200 film all’attivo (ma lui stesso ne aveva perso il conto) ha ricevuto tanti riconoscimenti prestigiosi (nove David di Donatello, sei Nastri d’argento, un Orso d’oro e un Orso d’argento a Berlino, un Golden Globe e il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia) ma mai l’Academy Award. E aveva un rimpianto: quello di non essere stato candidato dall’Italia agli Oscar. Ma lui ci sperava ancora ad averne uno. Ci raccontò che Charlie Chaplin lo aveva ricevuto a 83 anni. Alberto, invece, è morto a quasi 83 anni, ma l’ambita statuetta non è mai arrivata.
Per colmare questa grave mancanza, assieme all’Associazione “L’Arte di Apoxiomeno” e al suo presidente e direttore artistico dell’Apoxiomeno International Award Orazio Anania, mi sono attivato affinché venga presa in considerazione dall’Academy la possibilità di assegnare l’Oscar alla carriera o un Premio alla memoria ad Alberto, uno dei nostri maggiori protagonisti della cinematografia italiana.
Una soddisfazione, postuma, Alberto l’ha avuta a marzo del 2003, un mese dopo la sua morte: in un filmato in cui comparivano grandi attori e registi scomparsi come Billy Wilder, Rod Steiger e Dudley Moore apparve l’immagine del suo volto in una sequenza del film diretto da Ken Annakin “Quei temerari sulle macchine volanti” del 1965.
Perché l’Italia non lo ha mai candidato all’Oscar? A questa domanda mi rispose che il fatto di essere così popolare e così amato da tutte le fasce di età e di ceto sociale avevano giocato a suo svantaggio: per gli snob della cultura queste caratteristiche nazional-popolari sono viste come negative. In effetti, Alberto non ha mai amato i critici cinematografici, a eccezione di alcuni. Diceva spesso: “In Italia i critici si commuovono soltanto davanti ai sarcofagi. Basti pensare che cosa hanno fatto con Totò, lo hanno beatificato soltanto dopo la sua morte”. Molti critici cinematografici italiani avevano massacrato le interpretazioni di Alberto sia all’inizio della sua carriera sia durante tutta la sua intensa attività artistica. Interpretazioni che invece erano state osannate, per esempio, dai critici di altri Paesi come la Francia e che avevano avuto grande apprezzamento da parte del pubblico e quindi grandi incassi.
I ricordi dell’annunciatrice Rai Rosanna Vaudetti: “Per il viso del robot Caterina si ispirò a Roberta Giusti”
“Alberto passò in Rai – ricorda l’annunciatrice Rosanna Vaudetti – perché doveva vedere alcune cose per il suo programma. Mi chiamò e andai a salutarlo. Era mattina presto e, poco dopo, arrivò Roberta Giusti vestita da sera in quanto aveva dimenticato le chiavi di casa e quindi dormì da un’amica. La presentai ad Alberto e lei gli chiese se avesse potuto incontrarlo a pranzo assieme a Nicoletta Orsomando con la quale stava facendo interviste a noti personaggi per un giornale. Alberto ne fu felice e accettò subito. Dopo quell’intervista nacque un’amicizia tra loro. Per realizzare il viso del robot Caterina del film ‘Io e Caterina’ diretto nel 1980 da Sordi, Alberto pensò a Roberta. Ci stimava molto, diceva che le annunciatrici erano un patrimonio della Rai e che l’azienda non le valorizzava appieno”.
Alberto su Nino Manfredi: “Se io sono avaro lui è veramente tirchio”
Mi colpì molto Nino Manfredi quando lessi una sua intervista sul quotidiano “La stampa” pubblicata il 9 aprile 1994 dove dichiarava: “Sordi non ha mai fatto altro che se stesso in vita sua ed è per questo che oggi è finito”. A questa affermazione, Alberto, come suo stile, non replicò, ci disse soltanto che Manfredi era stizzito perché consapevole che lui avesse una marcia in più. Non a caso a noi parenti non ne ha mai parlato come suo amico. Anzi, ci svelò che se lui era avaro, Nino Manfredi era veramente tirchio. Nel libro lo conferma anche Pippo Baudo: “In una mia trasmissione a Taormina in cui c’erano Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi e Monica Vitti insieme, a un certo punto domandai quale fosse il loro rapporto con il denaro. E Nino Manfredi rispose da vero tirchio mentre Alberto Sordi disse: ‘Mi danno del tirchio, ma qui di tirchio ce n’è un altro’. Ed era Nino, lui era veramente tirchio. Poi, onestamente, i fatti hanno dimostrato che Alberto Sordi ha donato tutto, ha fatto il campus Bio-medico di Roma che è un capolavoro e anche all’ospedale Bambino Gesù ha dato un sacco di soldi”. Alberto ne parlò anche con Patrizia de Blanck: “Mi disse che Nino Manfredi era più taccagno di lui. Pensava che fosse indispettito dal fatto che Sordi avesse avuto tutto questo successo senza aver frequentato scuole di recitazione”.
In appello il processo penale a carico dei domestici, due avvocati e un notaio
A proposito della lucidità o meno di Aurelia Sordi (morta il 12 ottobre 2014 a 97 anni) prima della firma del testamento in cui designò erede universale del suo patrimonio la Fondazione Museo Alberto Sordi istituita da lei stessa il 31 marzo 2011, venti giorni prima che firmasse le volontà testamentarie (21 aprile 2011), il professor Rodolfo Porzio, già primario dell’ospedale Sant’Eugenio di Roma, medico curante di Alberto e Aurelia, sotto giuramento dichiarò: “Anche dopo la morte di Sordi ho continuato a visitare la signorina Aurelia ogni quindici-venti giorni. Tra gennaio e febbraio del 2011 (il testamento di Aurelia risale ad alcuni mesi dopo, nda) la trovai svanita e con allucinazioni (raccontava con estrema naturalezza che le persone le parlavano dalla televisione e lei rispondeva instaurando un dialogo con loro, nda), tanto che mi raccomandai con il personale di servizio di starle dietro per evitare che facesse atti inconsulti. Non ho mai preso una lira per curare Alberto e Aurelia in quanto c’era amicizia: per me era un onore essere medico di fiducia di Alberto Sordi”. Porzio, inoltre, spiegò: “Vidi la signorina Sordi fino al rientro dalle sue vacanze, a settembre del 2011. A ottobre mi furono chiuse le porte della villa, non mi fu più permesso di entrare e non riuscivo a parlarle neppure al telefono. Mi arrivò una lettera dell’avvocato Martino con la quale mi si chiese di non insistere a telefonare”.
Il professor Porzio ha inoltre ribadito che “Alberto non faceva entrare nessuno nella sua villa” smentendo così tanti personaggi che in questi ultimi anni hanno sostenuto di essere di casa nel ‘rifugio’ di Sordi.
Fu ascoltato anche l’altro medico di Alberto Sordi, Luigi Baratta, che lo assisteva fin dal 1995, il quale confermò le allucinazioni di Aurelia Sordi e al quale fu riservato lo stesso trattamento: “Sono stato il medico di Alberto Sordi per sette anni – ha dichiarato – e ho seguito pure Aurelia, anche se più saltuariamente. Ha iniziato ad avere delle allucinazioni, erano forme iniziali in rapporto all’età: vedeva personaggi importanti della televisione che si rivolgevano a lei. Parlammo anche con il personale della villa dicendo di seguirla attentamente, sottolineando che era necessario avvertirci: da allora è stato impossibile contattarla”. Sempre Luigi Baratta ha affermato che Alberto Sordi “temeva che Aurelia avrebbe trovato difficoltà nella gestione del patrimonio nonostante i suoi sforzi per facilitarle tali compiti”. Del resto Aurelia era una persona semplice e con istruzione modesta.
Allontanati i medici curanti, quindi, così come noi familiari fummo tagliati fuori dalla vita di Aurelia dopo la morte di Alberto. Stessa sorte toccò all’amica del cuore di Aurelia, Giovanna Siciliani, la quale fino all’estate 2011 aveva passato con lei le vacanze estive. Giovanna Siciliani ha dichiarato: “Abbiamo trascorso le vacanze estive insieme per l’ultima volta nell’agosto 2011. Finita la vacanza non sono più riuscita a contattare Aurelia né a rivederla. In precedenza noi ci sentivamo spesso, almeno tre volte alla settimana”.
Noi familiari venimmo a conoscenza dai media del presunto raggiro ai danni di Aurelia in seguito all’inchiesta della magistratura. Eravamo ignari di tutto ciò che era stato ipotizzato dalla Procura della Repubblica, in quanto la linea telefonica diretta di Aurelia era stata disattivata e, negli ultimi anni, ogni volta che chiamavamo in villa, non riuscivamo più a comunicare con lei in quanto il personale di servizio che rispondeva, immancabilmente affermava che Aurelia non era disponibile. Alcuni di noi, non potendola più sentire al telefono, anche soltanto per gli auguri in occasione delle festività, e preoccupati per il suo anomalo silenzio, si recarono addirittura alla villa, ma il personale di servizio non aprì il cancello.
Curiosa anche la sparizione della fedele segretaria di Alberto per oltre cinquant’anni, Annunziata Sgreccia, la quale fu colpita da una malattia che la obbligò ad abbandonare il lavoro e poi al ricovero. Di lei non si seppe più nulla per anni: fu ritrovata grazie all’appello lanciato nel programma di Barbara D’Urso “Domenica Live” su Canale 5. Gli ultimi anni li ha trascorsi in una residenza per anziani in provincia di Roma. La direzione della residenza non consentì di parlarle. Annunziata conosceva tutto della casa dato che si occupava anche della sua gestione domestica e finanziaria.
Dopo l’azione della Procura noi familiari ci rivolgemmo agli avvocati Andrea Maria Azzaro e Francesca Coppi e fummo ammessi come parte civile al processo penale per aiutare la magistratura a fare chiarezza. Nel 2019, in primo grado, l’autista, il notaio, gli avvocati e i domestici sono stati assolti perché il fatto non sussiste in merito al presunto raggiro da 2,3 milioni di euro ai danni di Aurelia Sordi. Un processo che aveva visto imputate nove persone accusate a vario titolo di circonvenzione di incapace e ricettazione. Il pubblico ministero Albamonte ha appellato la sentenza di primo grado. La magistratura, quindi, va avanti.
Il rapporto con Carlo Verdone
Nel mio elenco degli amici di Alberto in molti si stupiranno di non trovare il nome di Carlo Verdone, figlio del critico cinematografico Mario Verdone, padre anche di Silvia, moglie di Christian De Sica.
A noi familiari, come anche alla contessa Patrizia de Blanck, Alberto rivelò di non essersi trovato bene sul set del film “Troppo forte”. Ci disse che Verdone aveva avuto paura di essere oscurato da lui in un film diretto da Verdone stesso. Di lui non ci disse altro.
I fatti parlano chiaro: dopo quel film non lavorarono mai più insieme. Quello che colpisce è che da quando Alberto è morto, Carlo Verdone si è imposto sui media come il suo più grande conoscitore rilasciando interviste su qualunque mezzo di comunicazione. Lo abbiamo visto all’interno della villa di Sordi indossare i cappelli usati da Alberto nei suoi film, mostrare a tutti il guardaroba personale del grande attore, si è fatto fotografare alla guida della Fiat 124 familiare che Agnelli regalò ad Alberto. Nel 2013, in occasione dei dieci anni dalla scomparsa di Sordi, Carlo Verdone assieme al fratello Luca, realizzò il documentario “Alberto il Grande” dove, per la prima volta, mostrò al pubblico la villa di Sordi. Chi conosceva bene Alberto sa che non aveva mai fatto entrare né fotografi né telecamere all’interno del suo “rifugio”. Le telecamere dei fratelli Verdone “frugarono” in tutte le stanze: dalla barberia alla camera da letto fino alla stanza guardaroba indugiando sui completi, sulle giacche e sui cappotti che indossava.
Carlo Verdone: “Non c’è niente da dire su Sordi e le donne. Non ci sono donne”
Durante una presentazione pubblica del documentario “Alberto il Grande”, Carlo Verdone rispose così alla domanda giunta dalla platea sul perché nel suo docufilm non si fosse parlato del rapporto di Alberto Sordi con le donne: “Noi non dovevamo approfondire assolutamente nulla perché non c’è niente da dire su Sordi e le donne, non c’è assolutamente niente da dire. C’è da dire su Sordi e le sorelle, su Sordi e il ricordo della madre. Ma su Sordi e le donne? Quando? Quali? Non ci sono donne. L’unica fotografia che noi abbiamo trovato a casa Sordi l’abbiamo inquadrata. È una fotografia con una dedica affettuosa di Soraya, sta là. Ma tutte le altre? La Vitti? La Cardinale? Non esiste fotografia di nessun altro attore. Soltanto questo bel profilo di Soraya che sta lì come un’icona”.
Poi, però, aggiunse: “Secondo me Sordi ha avuto probabilmente degli amori che non sappiamo, era una persona molto pudica. Non lo so che amori può avere avuto Sordi. Quello che noi sappiamo e che è documentato è quello con Andreina Pagnani all’inizio della sua carriera. Ne parla Fofi, ce lo descrive benissimo”. A noi parenti, invece, Alberto raccontò di quella sua bellissima storia d’amore con Andreina Pagnani. Non c’è mai stato bisogno di sentire il critico cinematografico Goffredo Fofi. Ma a quanto pare Alberto con Verdone non si sentì di parlarne.
Sempre durante quella presentazione pubblica Luca Verdone, il fratello di Carlo, gli sussurrò che in effetti qualche amica la portava. “Portava delle amiche ogni tanto – precisò Carlo Verdone – delle belle ragazze, delle modelle che uscivano con lui. Però il giorno dopo non c’erano più, sparivano. La Mangano non è possibile per tanti motivi. Erano tutti amori platonici. Sordi ha sposato se stesso, le sorelle, la famiglia e il culto della sua persona. Se vogliamo essere sinceri. Basta!”. Da quanto dichiarato da Verdone si evince che Alberto non si confidò con lui. Purtroppo, questo suo intervento pubblico ha generato decine e decine di messaggi scritti a commento del video della presentazione pubblicato su YouTube che ha oltre 143 mila visualizzazioni.
Quelle voci sulla sua intimità
In Italia, si sa, tutti hanno la presunzione di sapere tutto e su un tema pruriginoso come questo – e su un personaggio di così grande successo che ha difeso con le unghie e con i denti la sua vita privata – i cosiddetti “leoni da tastiera” hanno avuto l’occasione di potersi sfogare. Questi alcuni commenti lasciati sotto il video della presentazione con le affermazioni di Carlo Verdone: “Che fosse impotente? Non è mai stato beccato con una donna”, “Sordi era chiaramente omosessuale”, “Oggi si direbbe che era un asessuato”, “Era per l’amore platonico”, “Probabilmente aveva fatto voto di castità”, “Visto il sederone, le spalle strette e il fisico ginoide può darsi che a livello ormonale non avesse tutto questo desiderio”, “La ragione dell’assenza di donne in campo sentimentale è molto semplice: era brutto come il peccato”, “Quanta tensione in questo filmato. Non si può proprio dire la verità, eh, Carlo? Spiegherebbe la storia con una sola parola di origine straniera di tre lettere ma sarebbe uno shock per un Paese come l’Italia” e via con la fantasia. Altri invece hanno scritto che dal video si intuisce che a Verdone, Alberto Sordi non stesse simpatico (mi autocensuro perché la parola usata è molto più volgare). Le dichiarazioni di Verdone senza che il diretto interessato (Alberto Sordi) potesse poi rispondere, provocarono la curiosità di alcuni miei colleghi giornalisti che mi intervistarono per sapere la verità sul rapporto di Alberto con le donne e su una sua eventuale omosessualità. Anche in questo caso, soltanto i parenti che lo hanno frequentato sin da ragazzo conoscono alcuni fatti. Dico alcuni perché Alberto era comunque molto riservato. Mi chiamarono colleghi della carta stampata, delle radio e delle tv. Fu allora che feci alcuni nomi di donne di cui Alberto parlò con mio nonno, con mio padre e che sapevo in prima persona come la sua love story con Patrizia de Blanck. Non perché reputassi che Alberto Sordi gay fosse un’infamia (non avrebbe tolto nulla al suo talento né, a mio avviso, alla sua persona in quanto non ci sarebbe stato nulla di scandaloso o di immorale), ma semplicemente perché era un gossip becero che non corrispondeva alla verità.
Negli anni passati ci furono voci sul suo orientamento sessuale dato che all’epoca era impensabile che un personaggio ricco e famoso non fosse sposato e non si fosse riprodotto. Il suo profondo rispetto per le donne e per la famiglia lo portò a sacrificare questo aspetto della sua vita. Sapeva bene, Alberto, che non avrebbe potuto dedicare molto tempo a moglie e figli in quanto lui era già sposato con il suo lavoro-vocazione al quale aveva deciso di dedicarsi anima e corpo. E sempre il profondo rispetto che nutriva per le donne lo portò a non vantarsi mai pubblicamente delle sue conquiste. Ma in un’era come l’attuale, popolata da super cafoni e da personaggi senza talento che fanno a gara per farsi immortalare con la preda appena conquistata per confermare al mondo intero la propria virilità e il proprio machismo, è un concetto impossibile da capire. Personaggini che per evitare l’oblio mediatico hanno bisogno come l’aria che respirano di tanti flirt, veri e soprattutto presunti, spesso costruiti a tavolino dai loro agenti. Oggi non è importante che qualcosa sia vero per essere credibile e ottenere l’agognata visibilità, è sufficiente che sia verosimile. Alberto non ha mai avuto bisogno di tutto questo per restare a galla e non perdere la visibilità, di lui parlava il suo talento. E non ha mai avuto bisogno di vantarsi delle sue conquiste amorose per dimostrare a tutti di essere un tombeur de femmes e togliere così, a chi lo invidiava e ai malpensanti, il tarlo del dubbio su un altro tipo di orientamento sessuale. Se avesse voluto lo avrebbe potuto fare senza nessun problema così come hanno fatto tanti suoi colleghi molto amati dal pubblico femminile.
A conferma di quanto sopra, quando Alberto morì, il regista Dino Risi, ricordandolo, dichiarò che con Sordi condivideva il piacere per le belle donne!
Durante la stessa presentazione pubblica del docufilm, Carlo Verdone espresse un suo giudizio sulla scelta personale e legittima di Alberto di non sposarsi e di non avere eredi: “Come battuta – disse – quando una persona è molto ricca, possiede molte cose, è auspicabile un matrimonio, è auspicabile avere un figlio perché tu devi lasciare queste cose, sennò apri il giornale e andiamo a leggere quello che abbiamo letto. Però non entriamo in quello che lui ha deciso di fare”. Appunto, non entriamoci e rispettiamo la sua scelta senza giudicare. Come affermava Martin Luther King “Giudico le persone in base ai loro princìpi, non ai miei”.
Nel documentario, Verdone intervistò Aurelia Sordi circondata dai domestici. Francesco Merlo, in un suo articolo pubblicato su “La Repubblica” il 7 maggio 2015, scrisse: “Quando Carlo Verdone andò a girare il documentario ‘Alberto il Grande’ e intervistò Aurelia capì subito che la sua anima era persa”. Merlo riportò anche le parole di Carlo Verdone: “Fu una fatica terribile. Alle domande rispondeva ‘ammappete’, ‘embé’, e solo con il montaggio tirai fuori una parvenza di logica”. E ancora: “Il giudice mi ha chiesto tutto il girato di quel documentario, e lo capisco. Da lì si vede quant’era debole e fragile Aurelia e quant’era facile approfittarsene”. Ma Carlo Verdone, qualche tempo prima, il 21 febbraio del 2013 subito dopo la notizia del presunto raggiro ai danni di Aurelia, raccontò a Michele Anselmi del quotidiano on-line “Lettera 43” una versione di Aurelia totalmente diversa: “Mi cadono le braccia a sentire queste cose. Mi auguro per lui (l’autista Arturo Artadi, nda) che sia un errore, che sia innocente. Aurelia spiegherà tutto. Ha quasi 95 anni, potrà apparire rallentata, ma è sempre lucida e sveglia, come si vede nel documentario”.
“Troppo forte”, Carlo Verdone su Sordi: “Aveva una paura matta di non far ridere più. Il personaggio me l’ha rovinato!”
Carlo Verdone e Alberto Sordi insieme fecero soltanto due film: “In viaggio con papà” nel 1982, per la regia di Sordi, e “Troppo forte” nel 1986, diretto da Verdone. Ma nel secondo film, Sordi non era stato contemplato da Carlo Verdone.
Lo rivelò Verdone stesso, diversi anni dopo la morte di Sordi, in una video-intervista che si trova su YouTube e in un’altra intervista a “Il giornale off.it” ripubblicata sullo stesso il 3 settembre 2014 a firma di Francesco Sala: “Sordi non doveva fare il film. Io volevo Leopoldo Trieste per il ruolo dell’avvocato. Poi, il produttore del film, non so, cose loro, forse un contratto rimasto in sospeso, mi chiama e mi fa: ‘Il film lo fa Sordi!’. E io: ‘Ma non c’entra niente!’. Abbozzai. Dovetti abbozzare con Sordi e lui fece di tutto per far ridere ancora. Aveva una paura matta di non far ridere più, di venire scavalcato da questa ondata di nuovi comici. S’è messo a fare la voce di Oliver Hardy, quei gesti strampalati quel ‘Di di da da…’. Il personaggio me l’ha rovinato! Non parlo volentieri di quel film, anche se so benissimo che i miei fan lo amano per tutta una serie di assoli: la palude del caimano, l’anaconda, il flipper, per me rimane un episodio, un compromesso. Se io mi mettessi a rifare alla mia età, continuamente, le voci dei miei personaggi di trent’anni fa direbbero: ma che fa Verdone? È patetico”.
L’uscita di Verdone contro Sordi fece (e fa tuttora) indignare i fan di Alberto. Lascia attoniti e amareggiati il modo con cui si espresse su Alberto. Il diritto di critica è sacrosanto, per carità, ma le espressioni e i toni usati da Verdone colpiscono. Entrambe le interviste furono rilasciate da Verdone molti anni dopo la morte di Alberto che così non ha mai potuto replicare. Anche Alberto non si trovò affatto bene a lavorare con lui in quel film, ma non lo ha mai detto pubblicamente. È una questione di stile e di eleganza. Nel cinema, come in altri settori, accade spesso di non trovarsi bene sul set con altri attori. E quando ciò avviene (come in questo caso) l’unico modo per evitare che succeda di nuovo è evitare di ritrovarsi in situazioni analoghe. Cosa che poi è accaduta. Verdone avrebbe potuto risparmiarsi almeno i commenti sull’interpretazione di Sordi che, invece, ha dato al film, a detta di tanti, una marcia in più. Chi fa cinema, poi, sa perfettamente che un nome di grande popolarità e molto amato fa sempre bene a un film e che i produttori pensano anche al botteghino.
Nel 2001, Alberto Sordi aveva affidato all’attuale cardinale Gianfranco Ravasi la “Fondazione Alberto Sordi per i giovani” mettendo nel consiglio di amministrazione personaggi illustri come il presidente di Bnl Luigi Abete e del mondo accademico, i professori Schlesinger e Guarino. Alcuni anni fa, però, il cda fu completamente rinnovato: presidente diventò Carlo Verdone.
“L’Italia doveva essere turistica e agricola, adesso sarebbero tutti occupati”
L’intervista inedita del 1995 di Luca Colantoni ad Alberto Sordi
Nel febbraio 1995, l’amico e collega giornalista Luca Colantoni, lo intervistò. Una lunga chiacchierata con lui pubblicata integralmente, per la prima volta, sul libro. Le riflessioni di Alberto sono talmente attuali che sembrano di questi giorni.
Alla domanda di Luca Colantoni, che cosa non si è fatto in Italia, Alberto rispose: “L’Italia non ha seguito un tipo di politica che doveva essere turistica e agricola perché il nostro è un Paese che si basa sul turismo e sull’agricoltura. L’avesse fatto probabilmente adesso saremmo una nazione senza problemi dove tutti sarebbero occupati, da Nord a Sud”.
Il video con l’ultimo saluto di Alberto al suo pubblico
“Adesso speriamo che quello lì che fa la mia imitazione sulla poltrona si ravveda perché non è neanche un’imitazione”
Della sua vita privata era talmente geloso che non parlò mai pubblicamente della malattia contro la quale combatteva da tempo. È uscito di scena all’improvviso e in silenzio. A dicembre del 2002, tre mesi prima della sua morte, Alberto, con un filo di voce, visibilmente sofferente, affaticato e dimagrito in vestaglia da notte sulla poltrona del suo studio con la coperta sulle gambe, si scagliò in un video contro il suo imitatore televisivo senza neppure dargli la soddisfazione di nominarlo con nome e cognome. Il filmato fu trovato dal giornalista Enzo Coletta che lo pubblicò su YouTube per condividerlo con i milioni di fan di Alberto, suscitando una commozione profonda da parte degli internauti. Il video, intitolato “L’ultimo saluto di Alberto Sordi”, dura 10 minuti e avrebbe dovuto essere proiettato soltanto per il pubblico del teatro Ambra Jovinelli di Roma dove, il 17 dicembre del 2002, fu organizzata una serata in onore di Sordi all’interno del programma di Roma Film Festival. Per l’occasione furono proiettati 30 suoi film scelti e messi a disposizione da Alberto (dalle sue copie personali) per il pubblico romano.
Per motivi di salute non poté parteciparvi e quindi registrò il video che si conclude con un bacio verso tutto il suo pubblico. Sordi cominciò il suo intervento con un’ironia amara e un’espressione severa parlando del suo imitatore televisivo che non ritenne degno neppure di citazione. Naturalmente si riferiva a Max Tortora.
Queste le parole di Alberto: “Da come sono vestito potete immaginare che cosa ho. Ma quello che fa la mia imitazione in televisione, che non mi dispiace qualche volta perché mi somiglia pure, mi ha messo su una poltrona con la coperta e da allora mi sono sentito dei dolori e mi ha bloccato. Ahò (in romanesco viene utilizzato per apostrofare qualcuno con stizza o risentimento, nda), non ce lo mettete più. Io non sono vestito in modo elegante come la serata che si svolge in questo grande e tradizionale teatro romano al quale sono legato da ricordi lontani della mia giovinezza. Il mio rammarico forse è più grande del vostro per non essere con voi questa sera a onorare questa bella iniziativa, questa rassegna Roma Film Festival a cui avrebbe dovuto partecipare almeno colui che festeggiano, che sono io, mentre mi trovo miseramente qui su una poltrona per dirvi scusatemi, perdonatemi, io non ho colpa per ciò che è avvenuto. Un’indisposizione che non mi permette né di camminare né di muovermi tanto meno di fare il saltino. Perciò, se non faccio il saltino, se non individuano subito di persona Alberto Sordi sul palcoscenico è inutile presentarsi. Ho mandato questo video proprio per farmi perdonare da voi. D’altronde io sono un attore cinematografico da tutta una vita, andare sul palco per me è un piacere e una gioia immensi. Quando posso vado a incontrare il pubblico perché sento la mancanza del teatro che da oltre quarant’anni non faccio più. Spero di guarire prestissimo e di trovare un’altra occasione importante per potervi chiarire che il pubblico per me è una grande famiglia. Da tutta una vita la mia famiglia è il pubblico, ho rispetto per il pubblico, voglio bene al pubblico e faccio tutto quello che è possibile per aiutarlo. Adesso ho istituito la ‘Fondazione Giovani Alberto Sordi’: gli anni degli inizi per me sono stati durissimi perché non ti capiscono, ti mandano via, ti cacciano da una porta e rientri da una finestra. Conosco bene il supplizio di un giovane che sente di avere delle attitudini ma nessuno lo scopre, nessuno gli fa fare qualche cosa per potersi mettere nelle condizioni di dire ecco finalmente adesso sono un attore. Io devo tutto al pubblico, per me è stato determinante. Se non ci fosse stato il pubblico avrei continuato con questi dell’ambiente che magari non mi capivano. Il pubblico alle prime proposte ha manifestato subito il gradimento che mi ha permesso di iniziare e conseguire una carriera lunga e interminabile che dura ancora oggi. Mi dispiace che il coronamento di oltre mezzo secolo di carriera che questa sera potevamo festeggiare insieme non è avvenuto, ma spero duri poco questa indisposizione e mi permetta di poter stare con voi e manifestare tutto il mio benessere perché vi voglio bene e perché quando dico che voi avete determinato il mio successo è così. Per cui spero di poter ripagare quello che voi mi avete donato. Spero che mi venga permesso di manifestarlo in molte cose come questa della Fondazione dedicata ai giovani che così non avranno più l’incubo di non essere capiti e non soffriranno molto, ma saranno finanziati avendo loro attitudini. Io voglio che i giovani con talento e che possono diventare grandi attori siano aiutati da questa ‘Fondazione Giovani Alberto Sordi’, che gli permetta di cominciare come ho fatto io questa carriera. Questa manifestazione è interessante e molto divertente, ci sono molti miei film ai quali voglio bene come la grande famiglia del pubblico, questi film sono miei figli e li ho sempre fatti con l’intento di essere gradito dal pubblico. Il pubblico non deve mai essere deluso. Film di quarant’anni anni fa sembrano fatti ieri. Il pubblico è per questo che continua ancora ad aiutarmi e a sostenermi, oggi anche fisicamente, per dire grazie Alberto per quello che ci hai dato e io da parte mia dico grazie al pubblico che mi ha permesso di durare così tanto. Un abbraccio, grazie, ci vedremo presto”.
Poi, però, Alberto fece una pausa e con il dito indice accusatore concluse il suo intervento pensando sempre al suo imitatore televisivo. Ancora una volta non lo nominò e, sempre rivolgendosi al suo pubblico, disse: “A quello lì che fa la mia imitazione e che sta sulla poltrona con la coperta ditegli che si muova, qualche volta sono indicazioni, adesso speriamo che lui si ravveda perché non è neanche un’imitazione”.
Il suo ultimo pensiero pubblico lo rivolse quindi a “quello lì”. Alberto morì due mesi dopo quel filmato. Stava male da tanto tempo e quell’imitazione la trovava di pessimo gusto e, da superstizioso, la riteneva foriera di sfortuna per lui. Ironia della sorte, però, dopo alcuni anni dalla morte di Alberto, Max Tortora ricevette il Premio Alberto Sordi istituito dalla Fondazione Alberto Sordi (la prima delle tre Fondazioni, quella dedicata agli anziani, istituita e voluta da Alberto nel 1992). Chissà che cosa ne penserebbe Sordi!
Ci è voluta la scomparsa di Alberto per far “ravvedere” Max Tortora. Da quel giorno ha smesso di fare l’imitazione nei ben due programmi televisivi (Rai e Mediaset) in cui lavorava.
Su “La Repubblica” del 26 febbraio 2003, dichiarò di non aver mai parlato ad Alberto della sua imitazione: “So che non stava bene – spiegò Tortora – chiedevo notizie ai pochi che potevano contattarlo, Carlo Vanzina mi teneva informato. Ma mi fa piacere sapere che Sordi non disapprovava quello che facevo. Ecco, la sua mancata critica è il più grande complimento”. Invece, in quel video, Sordi dimostrò di disapprovare eccome.
Il 25 febbraio 2003, il giorno dopo la morte di Alberto, a TgCom24 Max Tortora affermò: “Non ho mai avuto la necessità di chiamarlo e chiedergli un parere sulla mia imitazione perché non volevo rompergli le scatole, ho sempre rispettato la sua esigenza di privacy e riservatezza”. Dalle parole di Alberto, invece, avrebbe dovuto sentirlo.
Prefazione di Gianni Canova al libro “Alberto Sordi segreto” di Igor Righetti
“Ve lo siete meritato, Alberto Sordi!”. Tuonava così, Nanni Moretti in Ecce bombo, in una sorta di invettiva molto Anni ’70 che rifiutava, in Sordi e con Sordi, quelli che egli riteneva essere alcuni tratti negativi e deteriori dell’antropologia degli italiani. Si sbagliava, Moretti. E sbagliava due volte. La prima perché confondeva (errore, purtroppo, assai comune fra gli intellettuali e i maitres à penser) l’attore con i suoi personaggi. La seconda perché un “mostro” (sacro!) come Alberto Sordi, purtroppo, molti italiani hanno dimostrato di non meritarlo affatto, troppo impegnati a trafficare con i loro affarucci quotidiani per rendersi conto di come e quanto Sordi restituisse, esasperandola, la loro immagine allo specchio.
Alberto Sordi è stato un “mostro” nel senso etimologico del termine: un prodigio, un miracolo. Una di quelle apparizioni che attraggono e spaventano allo stesso tempo, che generano sia identificazione che rifiuto. Molti, dopo la sua morte, l’hanno rifiutato e disconosciuto, affermando che i suoi personaggi sintetizzerebbero il peggio del costume e del carattere degli italiani. Vero e falso al tempo stesso: perché condensano il peggio, lo deformano e lo sospendono, lasciandolo lì, in equilibrio fra un vigile e sarcastico criticismo e un’indulgente e bonaria comprensione. In questo sta la grandezza di Sordi: nel suo essere l’ultimo erede contemporaneo di una tradizione teatrale antichissima, che risale alle maschere plautine e arriva alla tradizione vernacolare novecentesca passando per i fescennini e le atellane, per la commedia dell’arte, via via fino ai sonetti di Giuseppe Gioachino Belli. Ed è una tradizione che irride senza mai abbandonarsi a fanatismi e giustizialismi, ma cercando piuttosto di capire ciò che mette alla berlina: quand’anche il personaggio appare cinico in un dato contesto narrativo, Sordi lascia sempre intravvedere una sua posizione – come dire – antropologicamente comprensiva. Lui stesso ribadisce con forza il rifiuto di essere confuso con i suoi personaggi in un’intervista rilasciata intorno alla metà degli anni Novanta:
«Non li ho amati neanche io, quei personaggi… Ma non capisco questa accusa: io, con quelli lì, non c’entro niente, non ho mai interpretato me stesso, tra me e loro c’è soltanto un rapporto breve, temporaneo. Faccio l’attore, io» (Alberto Sordi, «la Repubblica», 8 luglio 1994).
Il libro di Igor Righetti ha il pregio di aiutarci a riscoprire l’attore dietro i personaggi che ha interpretato e l’uomo dietro l’attore che ha dato vita a quei personaggi. Ha il pregio di sfatare luoghi comuni. Di aprire l’album di famiglia e di svelare un Sordi inatteso. Nei suoi rapporti con il padre, con la famiglia, con le donne, con il denaro. Perché solo un uomo non comune poteva creare personaggi come il Nando Moriconi di Un americano a Roma di Steno o come il sottotenente Innocenzi di Tutti a casa di Comencini, come il giornalista Silvio Magnozzi di Una vita difficile di Dino Risi o come l’Oreste Jacovacci di La grande guerra di Mario Monicelli. E solo un autore di raffinata cultura cinephile poteva dar vita – da regista – a opere come Fumo di Londra, Scusi lei è favorevole o contrario? e Finché c’è guerra c’è speranza.
Igor Righetti, che ha con Sordi un legame di parentela diretto, ci aiuta a entrare nelle pieghe e nei segreti della sua vita. Ma senza voyeurismo, senza pettegolezzi, senza scandalismi. Mosso da una volontà di comprensione e di narrazione che aiuta tutti noi a capire meglio come e perché abbiamo tanto amato quest’uomo di spettacolo, e l’abbiamo sentito vicino a noi anche quando non ci siamo identificati con i personaggi a cui ha dato vita. Come ha detto una volta Mario Monicelli, Sordi ha avuto il merito di essere l’unico comico al mondo a divertire milioni di persone mettendo in scena personaggi negativi: un atto di coraggio alquanto raro che merita ancora oggi la nostra riconoscenza e il nostro affetto.
*Gianni Canova,rettore eprofessore di Storia del Cinema e Filmologia Università IULM (International University of Languages and Media) di Milano.
Igor Righetti, nato a Grosseto il 25 giugno 1969, è giornalista professionista dal 19 gennaio 1995. Docente di linguaggi radiotelevisivi e format multipiattaforma, brand management e strategic planning, comunicazione d’impresa, dizione e public speaking in numerose università pubbliche e private, massmediologo, scrittore, autore e conduttore di programmi radiotelevisivi, attore di cinema e in numerose fiction tv Rai e Mediaset, autore e interprete con Donatella Rettore dell’audiolibro da lui ideato “MusiCattiva – La comunicazione a pezzi”.
È stato capo ufficio stampa dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e delle sue consociate, dirigente nella funzione di capo ufficio stampa e web content manager della sede italiana della multinazionale svedese Ericsson e ha curato le media relations di Sony-Ericsson.