Se anche chi conosce superficialmente la biografia di Elio E Le Storie Tese li ricorderà per la loro partecipazione al Festival di Sanremo del 1996 dove eseguirono la coinvolgente e dissacrante, La Terra dei Cachi, forse meno conosciuta è la loro impresa “cinematografica” di pochi mesi successiva al Festival della canzone italiana, ovvero la partecipazione niente meno che a un film a luci rosse di Rocco Siffredi.
Andiamo quindi a esaminare questi due eventi, separati da un breve lasso di tempo e così concettualmente opposti, che raccontano molto dell’irriverente e sfacciata genialità del gruppo milanese, soprattutto se visti in maniera conseguenziale.
Siamo a metà degli anni 90′ e Elio E Le Storie Tese sono ad un passo dalla loro consacrazione mediatica. La band è nata a Milano nel 1979 su iniziativa del cantante, chitarrista e flautista Stefano Belisari che prenderà di lì in poi il nome di battaglia di Elio, così’ come ogni membro del gruppo verrà insignito di un apposito soprannome.
Il nucleo centrale del complesso, Elio alla voce, Rocco Tanica alla tastiera, Cesareo alla chitarra e Faso al basso (a cui si aggiungeranno il polistrumentista Feiez e il batterista Christian Meyer in seconda battuta), è cresciuto nella scena undeground degli anni 80‘ con una lunga gavetta tra locali, centri sociali e anche qualche sporadica apparizione televisiva.
Pur in estrema clandestinità, sono già diventati una band di culto ancora prima di incidere il primo disco; sono bastati delle audiocassette pirata per far diffondere le loro canzoni irriverenti con testi surreali, trasgressivi, spesso pregni di turpiloquio e riferimenti sessuali e fargli fare breccia nel pubblico giovane.
Le incisioni in studio, con i dischi Elio Samaga Hukapan Karyana Turu e Italyan Rum Casusu Cikty, usciti tra il 1989 e il 1992, hanno poi messo in evidenza come oltre alla vena goliardica, il gruppo possedesse una notevole capacità tecnica e uno stile totalmente distante dalla maggior parte dei gruppi rock e pop a loro contemporanei, quasi più vicina ai virtuosismi eclettici di Frank Zappa, da cui mutuano oltre che la vocazione per la non canalizzazione in un genere preciso, passando dal rock, al funky, al metal al gospel in un anarchico flusso di coscienza musicale, anche la passione per la citazione colta e parodica al tempo stesso, disseminando in un’unica canzone riferimenti che possono spaziare dai Beatles, ai Pink Floyd alla disco anni 70′ e allo Zecchino D’Oro.
Come accennato prima, è il 1996 l’anno in cui gli EeLST (per usare l’acronimo da loro stessi coniato) escono totalmente alla ribalta per il grande pubblico generalista, che forse ne conosceva vagamente il nome per essere gli autori delle sigle di Mai Dire Gol, programma storico della Gialappa’s Band.
Nel febbraio di quell’anno il gruppo viene invitato a partecipare al quarantaseiesimo Festival di Sanremo, al consueto Teatro Ariston sulla riviera ligure, condotto da un’eminenza televisiva come Pippo Baudo.
Italia sì, Italia no, la Terra dei cachi
Bisogna tenere a mente che se oggi al Festival è stata ormai sdoganata e anzi, ricercata a fini di audience, la partecipazione di artisti “non convenzionali”, all’epoca era un ambiente estremamente rigoroso e compassato, dove una band come Elio E Le Storie Tese, fautori di ciò che era visto come un rock demenziale e sopra le righe, non era indubbiamente nel suo ambiente naturale.
Certo, c’era stato Rino Gaetano nel 1978 a portare un’ondata di eccentricità ben poco Sanremese, ma il menestrello di Crotone non aveva certo nel suo repertorio canzoni che parlavano di vitelli con i piedi di balsa alle prese con orsetti omosessuali e pervertiti.
Presentati dallo stesso Baudo come “una profanazione” per il Teatro Ariston, gli EeLST ebbero invece gioco facile a diventare in breve i beniamini della serata.
Limitandosi a spiazzare il pubblico più per le loro prodezze estetiche (durante la seconda esecuzione Elio fece spuntare un braccio finto dal maglione, nel corso della serata in cui gli artisti presentavano solo un breve refrain della canzone loro compressero l’intero pezzo in meno di un minuto e alla finale si presentarono truccati con tute spaziali e tinta argentata come il complesso francese I Rockets – anche se Baudo li scambiò per travestimenti da extraterrestri – ) , riuscirono invece a coinvolgere l’impellicciata audience con un brano, La Terra dei Cachi appunto, orecchiabile, ritmato e coinvolgente, complice anche un accattivante ritornello.
Forse in pochi prestarono attenzione la complessa struttura con i suoi imprevedibili cambi di tempo, e ancora in meno probabilmente si soffermarono sul testo, che si può leggere come una satira al vetriolo di un Paese (l’Italia) pregno di problemi e storture, dalla corruzione alla mafia alla mala sanità su cui passa sopra con provinciale spensieratezza, come una parodia delle canzoni che affrontano questi temi scottanti o come le due cose insieme.
La canzone fece comunque breccia nel pubblico e nell’immaginario collettivo, divenne il tormentone di quei mesi e fece guadagnare al gruppo un discusso secondo posto al termine della competizione in barba a tutti i pronostici che li vedevano primi. Su questa “vittoria negata”, di cui fu accusato di falsificazione dei responsi lo stesso Pippo Baudo, furono anche fatte alcune indagini da parte delle autorità che però si risolsero in nulla di fatto.
Elio E Le Storie Tese erano comunque usciti dalla loro nicchia e diventati uno dei gruppi più apprezzati del momento.
Alcuni fan della prima ora tuttavia storsero il naso a seguito dell’esibizione sanremese. Al netto delle “provocazioni estetiche”, il gruppo era comunque stato al gioco dello stile nazional-popolare dell’Ariston, non aveva scandalizzato o scioccato nessuno, non si era gettato in nessuna invettiva censurabile (come avvenuto al Concerto del Primo Maggio di quattro anni prima) né fatto uso del linguaggio sconveniente e trasgressivo che li aveva fino a quel momento caratterizzati.
Le storie tese di Rocco
Insomma Elio E Le Storie Tese erano ancora loro stessi o erano stati “comprati” dal successo del Festival in cambio di compostezza e moderazione?
La risposta è probabilmente contenuta, oltre che nell’album uscito di lì a pochi mesi, Eat The Phikis, nella loro immediata impresa tra il musicale e il cinematografico e di cui abbiamo fatto cenno all’inizio.
Nel corso del tour immediatamente successivo all’uscita di Eat The Phikis, in due occasioni, nelle date di Torino e Roma, il gruppo nel corso dell’esecuzione del loro storico brano John Holmes, omaggio surreale all’omonimo porno-attore, fecero salire sul palco, tra lo stupore del pubblico, Rocco Siffredi accompagnato da alcuni suoi colleghi e colleghe di set, che ballarono lascivamente sulle note della canzone.
Il motivo di quella comparsata non era affatto occasionale, i due concerti furono infatti filmati e inseriti all’interno di un vero e proprio “porno-kolossal” (circa quattro ore di girato) diretto da Rocco Siffredi e dedicato alla band, intitolato per l’appunto Rocco e le storie tese
Ma la collaborazione non si limitò a questo, il gruppo si occupò infatti di curare la colonna sonora della pellicola e accettò di apparire (tranne il sassofonista Feiez che si dissociò) in ben due scene:
pur non prendendo parte fisicamente ad amplessi, il complesso infatti fece un simpatico cameo insieme a Siffredi nel prologo e suonò, pur con visibile imbarazzo, durante la grande orgia che conclude la pellicola.
Maggiori informazioni sulla surreale avventura sul set di un film hard tra porno attori e porno attrici professionisti sono raccontate nell’autobiografia del gruppo Vite Bruciacchiate da Rocco Tanica, vero trascinatore del progetto e trade union tra la band e Siffredi, ma basti sapere che inizialmente l’idea prevedeva una realizzazione delle più recondite fantasie sessuali di ogni membro di EeLST tradotte in immagini, salvo che, al di là dell’entusiasmo di Tanica, gli altri preferirono optare per un ruolo più intimo e defilato.
Il lato più ironico di tutta la vicenda è che solo pochi mesi prima la band riscuoteva l’allegro battito delle mani a tempo di “Italia sì, Italia No” sul palco dell’Ariston, a testimonianza della loro imprevedibilità e voglia di trasgredire dai canoni, dai ruoli, dalle etichette, andando spontaneamente a infilarsi in situazioni surreali, estreme e compromettenti.
Chi infatti oggi, arrivato secondo a Sanremo e con il plauso del pubblico e della critica, avrebbe il coraggio di rischiare la sua carriera facendo la colonna sonora e apparendo in un porno?
Certo, dal 1996 molte cose sono cambiate, è cambiata la morale e il senso comune, ma per puro spirito di provocazione, che cosa si direbbe se Diodato, Francesco Gabbani o i Pinguini Tattici Nucleari, freschi di vittoria, facessero una collaborazione con Valentina Nappi?
Sarebbe certamente una storia testa da raccontare.
Vai alla sezione Musica e scopri altri articoli! Seguici anche su Facebook