Si è svolta a Roma la conferenza “Rifugiati in agricoltura. Il progetto Bee My Job e altre esperienze contro lo sfruttamento lavorativo in agricoltura”.
L’incontro, promosso dall’Associazione di Promozione Sociale Cambalache e dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e al quale hanno partecipato rappresentanti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, è stata l’occasione per condividere e promuovere percorsi di inclusione per i rifugiati nel settore agricolo che combattono la piaga del caporalato e contrastano concretamente lo sfruttamento.
Il settore agricolo in Italia è caratterizzato da rapporti di lavoro instabili, di breve durata e legati alla stagionalità. Si calcola che siano oltre 200.000 i lavoratori irregolari impiegati nel nostro Paese in questo settore. Un contesto dove spesso a essere utilizzati come manodopera sfruttata sono migranti e rifugiati: uomini e donne giunti in Italia alla ricerca di protezione e di un futuro migliore e che si trovano invece vittime di un sistema di caporalato che impone lavoro sottopagato e dequalificato.
Ma ci sono realtà dove queste regole criminali non funzionano, dove è stato possibile aprire possibilità di professionalizzazione qualificata, inclusione sociale e lavorativa efficace, percorsi di consapevolezza e indipendenza, consentendo a migranti, rifugiati e richiedenti asilo di essere protagonisti del proprio futuro.
Il percorso preso a modello è Bee My Job, progetto di apicoltura e agricoltura sociale, nato nel 2015 ad Alessandria, grazie all’Associazione di Promozione Sociale Cambalache.
Una formula virtuosa che combina percorsi di formazione, moduli di orientamento e sicurezza sul lavoro, lingua italiana settoriale e inserimento in aziende del territorio tramite tirocinio, che dalla sua nascita ha formato oltre 170 rifugiati e richiedenti asilo, attivando oltre 100 tirocini in varie zone d’Italia.
“La nostra esperienza – ha spiegato Cambalache – dimostra che è possibile costruire percorsi di inclusione efficaci in grado di garantire una crescita e un inserimento professionale ai rifugiati, fornendo loro anche gli strumenti per muoversi e orientarsi nella società in cui sono entrati a fare parte. Questi percorsi al tempo stesso hanno effetti positivi sui territori dove si realizzano, grazie alla messa in rete dei diversi attori sociali, come realtà associative, enti del Terzo Settore, istituzioni e privati, e grazie al coinvolgimento della cittadinanza attraverso un’opera di sensibilizzazione”.
“Il contributo dei rifugiati al mondo della produzione e trasformazione agricola in Italia è molto importante. Esistono numerose esperienze di inserimento e inclusione socio-lavorativa positive e virtuose su tutto il territorio nazionale: una di queste è il progetto Bee My Job, ideato dall’associazione Cambalache e sostenuto nel 2018 e nel 2019 dall’UNHCR,” ha sottolineato l’UNHCR. “Con questa iniziativa, vogliamo dare spazio e visibilità ai percorsi virtuosi, con l’obiettivo di presentare alle istituzioni queste pratiche ed incentivarne la replicabilità aprendo uno spazio di confronto e collaborazione”.
Il modello è stato scelto dall’UNHCR come best practice, sia per le sue capacità di formazione e le prospettive che offre in termini di inclusione, sia per l’impegno contro ogni forma di sfruttamento in agricoltura, grazie all’adozione di una carta etica da far sottoscrivere alle aziende che aderiscono al progetto.
A dimostrazione della sua validità, è stata proprio l’Agenzia dell’ONU a promuovere quest’anno un percorso di capacity-building targato Bee My Job in sei tappe sul territorio italiano al fine di far conoscere il modello e promuoverne la replica.