Nel 1982 il regista pasquale festa campanile realizza “Bingo Bongo“, una pellicola cinematografica family-friendly dall'inequivocabile tono ecologista. L'idea sembra in linea con il pensiero diffuso in Europa già dal ventennio precedente di una “nuova coscienza verde“, che oggi si traduce in un atteggiamento proattivo ambientalista per un futuro sostenibile.
Infatti, seppur trattata vagamente e con eccessiva leggerezza, è facile scorgere, nello sviluppo della commedia, una scia di riguardo per la tematica naturalista, dal momento che la scena sociale post-industriale anni '80 spingeva verso una visione rimodellante dei consumi, surclassandoli con un'ottica rivolta al progresso della conoscenza teorica.
“Eco” è anche lo spirito di Bingo Bongo, che altri non è che il protagonista della storia: un bambino sopravvissuto a un disastro aereo grazie a un paracadute, cresciuto nella giungla ai margini della foresta pluviale del Congo. Ritrovato in età adulta, viene posto sotto l'attenta analisi di un gruppo di scienziati che lo esaminano attraverso numerosi test d'intelligenza. Gli stessi scienziati presentano il personaggio coinvolgendo lo spettatore in un loop di questioni esistenziali di complessa elaborazione.
In effetti l'assoluta mancanza di rapporti col mondo civile contraddistingue questo inconsueto personaggio al punto da chiedersi «dove finisce l'uomo e dove inizia la bestia? E qual è il rapporto tra uomo, civiltà e progresso?», quesiti che la gran parte di noi si è già posto dopo aver visto il colosso del cinema ambientalista per bambini “Tarzan, il Re della Giungla” al quale Campanile sembra rimandare per tutto il film, indubbiamente influenzato dal popolarissimo topos letterario dell'Enfant sauvage, riprodotto proprio negli anni '70 ma in chiave drammatica dal regista François Truffaut.
Utile, seppur scontata, la scena in cui B.B. si fa mediatore nel dibattito tra gli scienziati e gli animali, da cui emergono argomenti tuttora oggetto di contrasti come la vivisezione animale, i giardini zoologici, la caccia e l'allevamento intensivo.
Il Fondale
Ad acuire questa tediosa collisione è il fondale scelto dal regista, che si evolve partendo dal paesaggio esotico e primitivo della foresta, al centro scientifico di Milano circondato di mura e luci bianche con una gabbia al centro della stanza, fino alla cruda e caotica realtà metropolitana con il traffico, lo smog, i clacson, la gente in corsa. In tutto questo il solo spazio che sembra offrire una sensazione di rassicurazione per noi e per il protagonista è la casa della dottoressa Laura, l'unica donna tra gli scienziati, la sola alla quale B.B. sembra prestare fiducia sin da subito, visto il suo distacco precoce dalla figura materna.
Laura, impersonata dalla splendida attrice francese Carol Bouquet, sembra capace di comprendere la natura di Bingo Bongo ponendosi da subito con delicatezza e sensibilità tipiche di una “mamma”, che rimbocca le coperte al suo cucciolo quando trema di paura per la tempesta. Memorabile quanto esilarante sotto questo aspetto la scena dell'allattamento.
Il tema epico del viaggio è qui condotto in chiave simbolica, come un percorso alla scoperta di un'identità messa in crisi dallo scarto sociale tra l'uno e l'altro mondo – quello naturale e quello urbano-industriale – tra loro in conflitto. Tuttavia è chiaro fin dall'inizio, quando il Gorilla-Uomo fatica a riconoscersi non appena si scopre improvvisamente davanti a uno specchio, appositamente collocato dagli scienziati all'interno della gabbia: una scena priva di fondamento scientifico in quanto le scimmie sono in grado di riconoscersi davanti a uno specchio. Ma questo test dell'identità si estenderà metaforicamente per tutta la durata del film, che è di circa due ore.
La colonna sonora non emoziona, tuttavia la scena della rapina con la pistola d'acqua è ben accompagnata da un pattern dinamico, caratterizzato dall'uso di synth acidi tipici degli anni '80.
L'esperienza cinematografica del regista si palesa nelle sue numerosissime citazioni cinefile, esemplare la scena delle bolle, chiaro rimando a Cucciolo dei Sette Nani quando mangia il sapone, altra pellicola per bambini. O come nella scena finale, definitivamente trash, dalla cui descrizione mi astengo soltanto per non tradire la curiosità dello spettatore.
Critica
Classica commedia italiana di serie Z. La comicità è tale da sovrastare nettamente il messaggio del film, e in alcune scene appare come fine a sé stessa. L'episodio dell'allattamento ne è un esempio: breve ma eclatante, ha l'unica finalità di strappare una risata da un lato, e di inserire un minimo di nudo consentito dall'altro, a scapito di un argomento complesso quale la perdita genitoriale precoce che invece risulta puntualmente oscurato. La scena del ciuccio in compenso contestualizza meglio il personaggio in tal senso.
Il tema ecologico è trattato con una visione nettamente occidentale, il “lieto fine” consiste nella civilizzazione del protagonista, che assume forma e atteggiamento di un cittadino a tutti gli effetti di una società che spesso e volentieri sfrutta e mercifica gli animali e l'ambiente, dinamiche che peraltro sarebbe un errore trattare con superficialità/comicità. Doppiamente emblematica la scena dell'albero, che appare senza radici quando B.B. lo ripianta al suo posto, nel centro del parcheggio.
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