Diciasette anni, una famiglia agiata ma non nobile, una buona educazione e una passione sconfinata per la pittura.
Questo è l’inizio della storia del giovane Mattia, che si lascia alle spalle Taverna, una cittadina calabrese e, chiamato da Gregorio, il fratello maggiore, si ritrova catapultato a Roma.
Non una Roma qualsiasi, ma la grande Roma dell’ epoca barocca, ricca di arte e piena di prospettive per un giovane, ma anche irta di pericoli e insidie.
In questo ambiente vivace e cosmopolita l’attenzione di Mattia viene attratta da un pittore, morto da tempo e ormai quasi dimenticato, il Caravaggio. Tanto grande sarà questo interesse, che secoli dopo sarà considerato dai critici l’ultimo suo seguace.
La sua curiosità sconfinata lo portò a confrontarsi con il mondo intero, lo spagnolo Jusepe de Ribeira, i caravaggeschi francesi Simon Vouet, Valentine de Boulogne e Nicolas Tournier, anche se non conosciuti personalmente ma attraverso le opere, dalle quali riusciva a prender spunti senza mai copiare, sprigionando nei suoi quadri una coerente potenza stilistica.
La città pullulava di cosi tanti artisti talentuosi che era impossibile per Mattia ignorarli e con alcuni, come il Guercino, nascerà un bel rapporto di stima o amicizia. Era del resto impossibile per chiunque non apprezzare le brillanti invenzioni di Giovanni Lanfranco o di Nicolas Poussin e soprattutto del grande Guido Reni e dell’onnipresente Bernini.
Per poter farsi strada in questa selva di artisti bisognava avere protettori e il nostro Mattia per sorte o per fortuna ne incontrò un paio, la principessa di Rossano, Olimpia Aldobrandini, che iniziò a proteggerlo, forse anche un po’ per campanilismo regionale e la tanto chiacchierata Olimpia Pamphilj, che come cognata di papa Innocenzo X, faceva il bello il cattivo tempo in città.
Per conto della Pimpaccia (e si…non aveva buona fama donna Olimpia Pamphilj), creò nel 1649 lo splendido stendardo processionale di S. Martino al Cimino e, probabilmente sempre grazie a questa “sponsorizzazione”, ottenne l’incarico di decorare l’abside di Sant’Andrea della Valle.
Da questo momento il nostro Mattia, abile col pennello come con la spada, sarà per tutti il Cavalier Calabrese e concluderà la sua vita dopo molti e molti anni a Malta, col titolo prestigioso di cavaliere di grazia, sperimentando quel tipo di vita dalla quale era stato ignominosamente escluso tanto tempo prima Michelangelo Merisi.