“La parola alla difesa.” sentenziò il Giudice, con un sospiro ai limiti dello sbuffo.
Ambrose si alzò, nel suo solito atteggiamento rigido ma elegante. Nessun avvocato, rappresentava se stesso. Tutta l’Aula pendeva dalle sue labbra fredde. Non credeva di poter provare tanta paura, ma d’altronde non era il primo sentimento che lo sorprendeva, negli ultimi tempi. Accanto a lui, a dargli coraggio, a dargli speranza, la sua anima gemella.
“Signor Giudice,” incominciò Ambrose, “Signori della Giuria, sapete già tutti molto bene perché ci troviamo qui, io e la persona che amo…”
Qualcuno dei Giurati accennò un brivido, un cenno involontario del viso. Qualcosa in quelle parole li aveva turbati. Ambrose cercò di azzerare le proprie capacità percettive, per concentrarsi al massimo su ciò che diceva. L’inflessione è molto importante quando si comunica verbalmente.
“…Andrò quindi dritto al punto: noi due vogliamo sposarci ma, anche se non esiste una legge che ce lo impedisca, non ne esiste nemmeno alcuna che ce lo permetta. E questa è una situazione di ingiustizia.”
“La fermo subito, Signor Flanaghan-” lo interruppe il Giudice.
“Mi chiami pure Ambrose.” ribatté quello, strappando un sorriso a un altro paio di Giurati.
“Allora la fermo subito, Ambrose. Quella che Lei descrive, legalmente, è una situazione di ingiustizia. Una lacuna giudiziaria, potremmo dire. Ma ciò che dovete capire, Lei e… Sì, insomma…”
Ambrose prese coraggio: “Amante? Partner? Andiamo, Signor Giudice, i termini non mancano di certo. Ha forse difficoltà nel definire un rapporto come il nostro?”
Il Giudice non sembrava gradire quel suo moto di spavalderia, li faceva sembrare troppo simili. “Andiamo, si metta nei nostri panni! Non c’è ancora una legge perché non abbiamo mai pensato, prima d’ora, che si potessero presentare situazioni del genere!”
“Ebbene, ora che se n’è presentata una, noi due pretendiamo che si faccia qualcosa al riguardo.” ribatté l’imputato.
“E siamo qui proprio per questo. D’ora in avanti non la interromperò più, Signor Flanaghan, prosegua pure.”
Ambrose fissò il Giudice, forse in maniera un pizzico inquietante. La sua famiglia adottiva gli aveva insegnato a non farlo. Ma, altra cosa insegnatagli, nessuno è perfetto, nemmeno lui. Gli venne istintivo tendere una mano verso il suo amore… Il vecchio gomito, cigolando, lo riportò alla realtà. Doveva giocarsela bene, ormai la partita era agli sgoccioli. Ambrose fece un bel respiro, più per scena che per altro, poi riprese il suo discorso.
“La questione è semplice. In passato l’Umanità, svariate volte, si è domandata se era il caso di estendere la propria concezione dei diritti, o mantenerla ferma. Lei saprà bene, Signor Giudice, che ogni volta l’opzione giusta era la prima. Perché questa volta è diverso? In cosa l’amore che io provo per Theodor Gatsby è diverso da quello che Lei prova per sua moglie? Non vorrebbe sposarla, se non l’avesse già fatto? Non lo riterrebbe ingiusto, se qualcuno glielo impedisse? Capisco che molti di voi, se non tutti, ci vedono in modo diverso, ma diverso non significa inconciliabile, anzi, tutto il contrario! Quando guardo Theodor negli occhi, io… io provo qualcosa che non so descrivere a parole. E io per vivere mi occupo di database scientifici digitali! Vi prego, Signori Giurati, vi prego, cercate dentro di voi, nel nostro cuore, e scegliete di non offendere la nostra esistenza, il nostro amore, privandoci del perfetto simbolo che desideriamo. In fondo, il nostro matrimonio non nuocerebbe a nessuno, giusto?”
“Non il vostro matrimonio, certo. Ma chissà cosa vi metterete in testa, dopo!”
“Signor Giudice, non capisco cosa intende. Cosa dovremmo metterci in testa, io e Theodor?”
“Forse Lei e il suo compagno niente, ma magari qualcun altro come voi-”
“Signor Giudice, mi lasci proseguire, aveva detto che non mi avrebbe più interrotto!”
“Ci ho ripensato.”
“Perché?”
“Perché sono stufo della sua pagliacciata, Signor Flanaghan! Della sua condiscendenza, della sua pretesa ignoranza, dei suoi ‘mi chiami per nome‘… Adesso basta! Lei e il Signor Gatsby non siete persone come noi. E non potrete mai sposarvi, punto!”
“E allora perché siamo qui?!”
“Perché la Giuria deve, effettivamente, prendere una decisione. Su di voi. E attraverso questa importantissima, fondamentale decisione, stabilire un precedente, definire una linea da seguire per il futuro. Vede, Signor Flanaghan, Lei potrà anche percepirsi come essere senziente in tutto e per tutto pari a noi, e magari lo è, filosoficamente parlando. Ma la verità dei fatti è che Lei non lo è, e non lo è nemmeno il suo compagno. Voi siete nostre creazioni. Geniali, incredibili creazioni, diventate sempre più auto-sufficienti con il tempo. Vi abbiamo permesso di scegliervi liberamente dei nomi e dei cognomi. Vi abbiamo permesso di vivere con una certa indipendenza, di sviluppare dei ritagli di vita che fossero solamente vostri. Ma i sentimenti… Io credo che si sia andati troppo oltre. Se due Androidi provano amore l’uno per l’altro, come voi due, chi può dirci quando inizieranno a provare odio? Odio per altri Androidi, o magari proprio per l’Umanità che li ha messi al mondo.”
“Beh, non lasciarci sposare non vi aiuterà di certo, in questo.” sussurrò Ambrose, a volume abbastanza alto perché sentissero comunque tutti.
“Gli Androidi non possono sposarsi! Questa decisione è già stata presa e non cambierà. Ora, se i Giurati vogliono riunirsi a deliberare…” disse il Giudice, invitando con gesti del braccio a fare quanto suggerito. “Si ritiri pure con il suo compagno, Signor Flanaghan.”
“Ambrose.” lo corresse Theodor, coraggiosamente.
“Ringraziate che non uso il numero di serie.” bofonchiò il Giudice, in tutta risposta.
Gli androidi Theodor e Ambrose furono condotti in una stanza vuota, dove attendere il responso. Il silenzio regnava sovrano, ma non v’era traccia di solitudine. I due erano lì, presenti e vivi, l’uno per l’altro. Dopo qualche minuto, Ambrose parlò.
“Allora, Teddy… Come sono andato?”
“Magistralmente! E ti ostini a usare le corde fibro-vocali, anche tra di noi… Guarda che non sei più in Aula, Mr. Avvocato!”
Ambrose sorrise, prima di rispondere. “Lo ammetto, ho una passione per la comunicazione verbale, e allora? Trovo alcune delle necessità umane molto… apprezzabili.” concluse sottovoce, prima di dare un piccolo bacio al suo partner.
In quel momento la porta della stanza si aprì. Ne entrò un parroco, con la Bibbia in mano.
“Salve. Sono qui… per officiare il vostro matrimonio.”
Ambrose e Theodor si guardarono, riscoprendo la paura. Tuttavia, da bravi Androidi, la scacciarono anche, accettando il proprio destino.
“Sono disposti a sposarci. Sai che vuol dire questo, Theodor?”
“Certamente, Ambrose. E sa che le dico, Signor Parroco? No, grazie, io e lui ci siamo già sposati una volta, in segreto, a Las Vegas.”
“Sì, sì!” confermò l’altro. “Una serata memorabile! Poco importa che quel matrimonio non valesse, per la legge. Non varrebbe nemmeno questo, tanto vale conservare quel ricordo intatto.”
“Già,” riprese Theodor, “non ho voglia di sposarmi lo stesso giorno in cui poi mi tocca morire. O forse dovrei dire… essere formattato?”
“Ci dia subito le pasticche e ci lasci soli, Signor Parroco. Non intendiamo causare altri problemi.” concluse Ambrose.
Il Parroco fece quanto detto e si congedò, senza dire una parola.
Theodor e Ambrose, pasticche in mano, si guardarono negli occhi. Uno dei due, non importa quale, disse all’altro:
“Siamo i primi due Androidi che hanno provato dei sentimenti veri. Per fortuna erano quelli giusti.”
“Già. E non saremo neanche gli ultimi. Le nostre vite hanno significato qualcosa.”
“Hanno significato moltissimo. Ti amo.”
“Anch’io.”
Entrambi, buttate giù le pasticche, si spensero simultaneamente con un bacio.