Dopo un lungo restauro, dal 22 settembre scorso è possibile ammirare il gruppo scultoreo Le Tre Grazie nella sala XVII della Pinacoteca Vaticana, all’interno del percorso di visita dei Musei Vaticani. Opera del II secolo d.C., solitamente il pubblico non poteva fruirne facilmente. Infatti era esposta nel Gabinetto delle Maschere del Museo Pio Clementino, accessibile solo con particolari permessi.
Il restauro
L’intervento conservatorio è stato condotto dagli esperti dei Musei Vaticani del Reparto di Antichità Greche e Latine ed eseguito dal Laboratorio di Restauro Marmi e Lapidei.
Il lavoro ha restituito l’opera allo splendore originario. La scultura, restaurata per la prima volta nella seconda metà del Cinquecento integrando le parti mancanti e ricomponendo quelle presenti, manifestava gravi criticità.
Nella pulitura contemporanea è stato possibile studiare l’opera approfondendo anche gli interventi precedenti. In particolare i restauratori hanno rimosso le linee di giunzione e sostituito quelle di stuccatura con inserti di polvere di marmo. Gli esperti non hanno nemmeno applicato la vernice protettiva così da poter godere del caldo cromatismo del marmo originale.
L’opera nella storia
Sconosciuto è l’autore dell’opera che si ispirò probabilmente ad una scultura più antica di epoca tardo ellenistica. Non è noto nemmeno il luogo di ritrovamento del gruppo statuario. Le prime notizie de Le Tre Grazie risalgono alla seconda metà del Cinquecento quando l’opera apparteneva al segretario della famiglia Caetani, Giovanni Francesco Peranda.
Il proprietario la vendette quindi al cardinale Enrico Caetani per la sua collezione di antichità. Nel 1815 entrò a far parte delle Collezioni Pontificie sotto Pio VII, collocata nel Braccio Nuovo dei Musei Vaticani. Dal 1932 si trovava nella sua collocazione definitiva: il Gabinetto delle Maschere del Museo Pio Clementino.
Le Tre Grazie nella storia
Il mito iconografico delle Tre Grazie ebbe molta fortuna in età romana: nella scultura, nella pittura, nell’artigianato e in ambito funerario.
Sono dee benefiche, figlie di Zeus e Eurinome. Secondo altre versioni sono nate dal Dio Sole e dalla Dea Egle. Altrettanto accettata è la versione che vede come madre delle Grazie proprio la Dea della bellezza e della fertilità Afrodite. I loro nomi sono Aglaia, dispensatrice di grazia e splendore, Eufrosine, la gioia e la letizia, Talia, portatrice di prosperità e fiori.
Nell’immaginario ellenico-romano sono quasi sempre rappresentate come tre giovani svestite. Una di loro, quella al centro, è rivolta verso le altre. Rappresentano la perfezione a cui l’essere umano dovrebbe aspirare.
La fortuna del soggetto
A partire dal Quattrocento l’iconografia delle Tre Grazie fu fonte di ispirazione per letterati e pittori. All’origine di questa fortuna fu forse il ritrovamento di un piccolo gruppo scultoreo del II secolo d.C. che era visibile a Roma nel Palazzo Colonna. Nel 1502 l’opera venne acquistata dal cardinale Francesco Piccolomini per esporla nel Duomo di Siena ad ornamento della libreria fondata dallo zio, il pontefice Pio II.
Il motivo delle giovani fanciulle che intrecciano braccia e sguardi venne quindi riproposto da vari artisti dell’epoca.
Come non citare Sandro Botticelli, che nel 1478, nel dipinto La Primavera rese omaggio alle tre fanciulle e alla grazia della loro danza!
L’iconografia delle Grazie affascinerà anche Raffaello che dedicherà a questo soggetto una piccola tavola nel 1504, ora al Museo Condé della cittadina francese di Chantilly.
Le Tre Grazie di Antonio Canova
Antonio Canova, il famoso scultore, fu nominato nel 1807 dal papa Pio VII, ispettore del patrimonio archeologico ed artistico, nonché direttore dei Musei Vaticani. Nel bicentenario della sua morte è bello ricordare la sua interpretazione delle Grazie con il capolavoro eseguito tra il 1815 e il 1818. Possiamo immaginare il grande sculture aggirarsi solitario tra le collezioni del papa e soffermarsi sul gruppo scultoreo del II secolo d.C.
Le Tre Grazie lo affascinarono a tal punto da spingere l’artista a creare una sua opera le cui protagoniste erano le tre meravigliose fanciulle. Il soggetto gli fu talmente caro che ne fece addirittura due magistrali versioni: una in mostra al Museo Ermitage di San Pietroburgo e l’altra a Londra, al Victoria and Albert Museum.
Nella sua interpretazione, Canova pone l’accento sulla complicità delle Tre Grazie. Le loro teste sono accostate e convergono verso il centro, come in un segreto dialogo tra giovani donne. La bellezza delle proporzioni del gruppo romano, la loro danza lenta e ritmata ispirarono a Canova una scultura dalla sublime raffinatezza. Le Tre Grazie dalle capigliature neoclassiche e dagli occhi sognanti ci parlano di un mondo ideale in cui l’idea del bello e del sublime è l’obiettivo dell’artista che seguiva gli ideali neoclassici. Pura bellezza, ogni commento è vano, rapiti da tale maestria e sapienza.
L’antico e il moderno
La sala dei Musei Vaticani in cui è esposta l’opera romana ci accoglie in un’atmosfera di luci soffuse e ci incanta immediatamente. Illuminata da una luce che sapientemente ne sottolinea la bellezza, anche del restauro e della pulitura. Le tre giovani donne si mostrano in tutto il loro splendore, quasi immobili, come se avessero interrotto la loro danza per dialogare con lo spettatore, come fecero con Canova.
L’antico e il moderno: Le Tre Grazie del II secolo d.C dialogano a distanza con l’opera di Canova, (sarebbe stato interessante avere in mostra anche una delle due versioni eseguite da Canova), in quella continuità tra antico e moderno mai interrotta.
Un monito per le nostre vite, un faro ad illuminare il nostro cammino perché la bellezza e la perfezione travalicano i limiti di spazio e tempo in una dimensione universale.
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Descrizione così immediata e ricca di significati che sembra di viaggiare ad occhi chiusi .Grazie